Come sapete, il nuovo numero di Empire Magazine è curato da Edgar Wright ed è dedicato a una grande celebrazione dell’esperienza cinematografica in sala in un momento storico in cui i cinema di tutto il mondo stanno soffrendo a causa della pandemia di Coronavirus. Qualche giorno fa è stato pubblicato il contributo dello stesso Wright, ma sono molti i registi e attori coinvolti: nomi come James Cameron, Daisy Ridley, Spike Lee e Steven Spielberg. Oggi tocca proprio a quest’ultimo, che ha scritto un pezzo su quando vide Lawrence d’Arabia in 70mm quando era adolescente, e una lunga lettera d’amore sulla magia dell’esperienza in sala e sul perché non morirà mai.

Ecco la lettera, pubblicata dalla versione online di Empire:

Nell’attuale crisi sanitaria, dove i cinema sono chiusi o la partecipazione del pubblico è drasticamente calata a causa della pandemia globale, ho ancora speranza se non la certezza che quando sarà sicuro farlo il pubblico tornerà al cinema. Mi sono sempre dedicato alla comunità di chi va al cinema – in inglese si dice movie-going, ovvero lasciare le nostre case per andare al cinema, e il concetto di comunità è la sensazione di compagnia con altre persone che hanno lasciato le loro case e sono sedute accanto a noi. In un cinema, vediamo i film con le persone care, ma anche con estranei. È questa la magia che sperimentiamo quando usciamo di casa e andiamo a vedere un film, uno spettacolo teatrale, un concerto, uno spettacolo comico. Non sappiamo chi sono tutte le persone sedute intorno a noi, ma quando l’esperienza ci provoca risate o lacrime o ci fa esultare o riflettere, e successivamente le luci si accendono e lasciamo le nostre poltroncine, le persone con cui torniamo nel mondo reale non ci sembrano più perfetti sconosciuti. Siamo diventati una comunità, simili nel cuore e nello spirito, o nell’aver condiviso per un paio d’ore un’esperienza così potente. Quel breve intervallo nel cinema non cancella tutto ciò che ci divide: etnia, classe, credo, genere, politica. Ma il nostro paese e il nostro mondo sembrano meno divisi, meno fratturati, dopo che un gruppo di estranei ha riso, pianto, saltato sulla poltroncina tutti insieme nello stesso momento. L’arte ci chiede di essere consapevoli del particolare e dell’universale, entrambi nello stesso momento. E per questo, di tutte le cose che hanno il potenziale di unirci, nessuna è più potente dell’esperienza comunitaria delle arti.

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