Qualche mese fa ha fatto molto discutere l’ordine esecutivo firmato dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei confronti delle attività di ByteDance e Tencent. La decisione imponeva lo stop alle società americane, entro 45 giorni, di fare affari con i due colossi cinesi che controllano rispettivamente le app TikTok e WeChat (che secondo il governo americano rappresenterebbero una minaccia alla sicurezza nazionale): l’obiettivo era quello di costringere i cinesi a vendere le attività che si svolgono negli USA a società americane.

Sono passati mesi, TikTok ha perso il suo nuovo CEO Kevin Mayer (che aveva lasciato Disney attirato dalle grandi opportunità offerte dall’app social) ma è rimasta l’app più scaricata al mondo, sono arrivate le elezioni americane, sono passate le elezioni americane, non è successo nulla.

Ora TikTok ha presentato una petizione alla corte d’appello americana chiedendo una revisione delle azioni del Comitato sugli Investimenti Esteri negli Stati Uniti dell’amministrazione Trump. Il motivo, a detta dell’azienda, è che sono settimane che non riceve alcuna notizia da parte del suddetto comitato, nonostante questa settimana scada la deadline che costringe ByteDance a vendere gli asset americani. Il CFIUS, infatti, aveva fissato al 12 novembre l’obbligo di disinvestire. La compagnia aveva chiesto, come da regolamento, un’estensione di 30 giorni di questa deadline ma da allora non ha mai ricevuto una risposta, e non è chiaro cosa accadrà una volta che quella data sarà passata – di certo non avverrà il bando di TikTok dagli USA, grazie a un’ingiunzione ottenuta da tre influencer il mese scorso. A settembre ByteDance ha accettato di vendere parte delle sue attività americane ad aziende come Oracle e Walmart: l’operazione è stata approvata dall’amministrazione Trump ma non da quella cinese, e da allora è ferma in un limbo.

Parlando a TheVerge, un portavoce dell’azienda ha spiegato che “da oltre un anno dialoghiamo con il CFIUS, discutendo delle preoccupazioni dell’amministrazione circa la sicurezza nazionale. Nei due mesi successivi all’approvazione preliminare da parte del Presidente alle nostre proposte per soddisfare tali preoccupazioni, abbiamo offerto soluzioni dettagliate per concludere quell’accordo. Tuttavia non abbiamo ricevuto alcun feedback. Viste le costanti richieste, e l’assenza di chiarezza su tali proposte, abbiamo richiesto un’estensione di un mese come previsto dall’ordine esecutivo del 14 agosto. La deadline ora è imminente, l’estensione non ci è stata confermata, e così siamo costretti a procedere con una petizione in tribunale per difendere i nostri diritti e i nostri 1500 impiegati negli Stati Uniti.

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