Robert Zemeckis e Bob Gale bene o male non avevano capito molto del futuro, avevano una certa conoscenza del proprio mondo (quello audiovisivo) e di cosa fosse la tecnologia dell’epoca (il 1988, quando scrivevano il film) che gli ha consentito di azzeccare molte tendenze già vive all’epoca ma non avevano una vera visione del futuro. Oggi lo possiamo dire con un buon grado di certezza, il 2015 di Ritorno al futuro II è tanto ridicolo quanto ingenuo. E se per certi versi può sembrare che molto abbiano azzeccato, in realtà, è perchè noi l’abbiamo inseguito. Un film, se molto popolare, non prevede il futuro ma contribuisce a crearlo.

Una visione del futuro, in un film d’intrattenimento, non è un trattato di scienza ma un’idea che ha più a che vedere con l’estetica che altro. È un buon futuro quello di 2001: Odissea nello spazio, tutto bianco e forme pulite; è uno fenomenale quello di Alien anche se non azzarda nulla su quello che saranno i secoli a venire (e quel poco lo sbaglia, vedi il computerone a lucine) ma realizza un artefatto di puro design che anima una “visione”; è un futuro incredibile quello di Metropolis di Fritz Lang (il 2026), capace di intuire il grande movimento verso l’essenzialità delle forme, il minimalismo della moda e dell’arredamento come il polarizzarsi della società.
È invece pessimo il futuro di Ritorno al futuro II perchè sono gli anni ‘90 con le auto volanti, uno sforzo d’immaginazione non diverso dai futuri dei film di fantascienza degli anni ‘40/‘50, quelli caricaturali con abiti improbabilissimi e pettinature ardite. Non che sia un difetto, tutto Ritorno al futuro II è splendidamente modellato sul cinema degli anni ‘40/‘50 e in particolare ricorda La vita è meravigliosa (con il suo vecchietto malefico al centro di un inganno, le due realtà della vita del protagonista che sono una la distopia dell’altra e la coppia di viaggiatori composta da avventuriero e guida anziana…).Normale che ne riproduca anche le ingenue visioni future.
ritorno al futuro
In molti in questi ultimi mesi si sono prodotti in elenchi di cosa il film abbia azzeccato e cosa fallito, ma è evidente che le parti azzeccate siano quasi tutte relative al cinema o affini (la mania dei sequel nella scena di Lo squalo 19, il cinema olografico che noi abbiamo in 3D, i videogiochi senza controller, televisori piatti appesi al muro pieni di canali tra cui scegliere e il video telefono), mentre gran parte del resto è l’estremizzazione di cosa vivessimo tra gli anni ‘80 e i ‘90: dall’ossessione per la chirurgia estetica (oggi uguale a quell’epoca e non esasperata), fino all’onnipresente silicone sullo sfondo o ai CD grandi quanto vinili, dall’emergere del potere economico giapponese (in realtà completamente tramontato) fino ai bioimpianti, per non dire delle macchine volanti. Zemeckis e Gale addirittura non avevano intuito quella che è stata la vera grandissima tendenza del futuro che conosciamo, ovvero la smaterializzazione dei supporti. Il loro film è un trionfo di giornali di carta e fax usati per comunicare quando in realtà stiamo abolendo tutto questo a favore di personal media.

La parte più interessante allora è la zona grigia del film, tutte quelle tecnologie che effettivamente stanno in Ritorno al futuro II e alle quali siamo arrivati anche grazie a Zemeckis. Non è infatti una novità che le scoperte scientifiche e tecnologiche dell’uomo per diventare oggetti di consumo (cioè oggetti che la gente compri) vengano applicate a gadget che il consumatore possa riconoscere, di cui abbia già cognizione, che identifichi come “il futuro”. Ovviamente quell’idea di “futuro”, oggi, la costruisce il cinema.
L’esempio principe forse sono le scarpe autoallaccianti, realizzate dalla Nike unicamente per imitare il film, ma tutta la tecnologia di riconoscimento dell’impronta digitale che vediamo (non ultimo nell’iPhone) viene da quel film e altri come lui che ne facevano un must, come anche l’ubiquità degli schermi che culmina con quelli negli occhiali (i Google Glasses incrociano quell’idea con l’altra, tipica della fantascienza, della visione aumentata che noi chiamiamo “realtà aumentata”).
ritorno al futuro 3
Insomma se domani arriveremo a padroneggiare i magneti o a scoprire la tecnologia antigravitazionale, sicuramente le applicheremo all’elettronica di consumo costruendo skateboard che fluttuano proprio perchè stanno in Ritorno al futuro II. La forza del cinema, o forse è più corretto dire quella dei grandi racconti di successo, è che formano le teste, influenzano il pensiero, modellano le aspettative della società che li produce e li fruisce. Gli horror ci influenzano dicendoci di stare attenti a tutto ciò nei riguardi del quale ci sentiamo sicuri (gli affetti, i bambini, le nostre case e la nostra tecnologia), la fantascienza produce il nostro futuro, lo mette in scena e ce lo fa vedere inevitabilmente condizionando il nostro desiderio al pari della fantasia di chi per lavoro lo soddisfa.

Il 2015 reale somiglia pochissimo al 2015 in cui arrivano Doc e Marty ma possiamo dire che quel poco di sovrapposizione che esiste è una vittoria del cinema.