Sean Connery ha novant’anni e, se è valida la regola per cui più invecchia più diventa sexy, oggi è più affascinante di quanto lo sia mai stato (ma un pochino meno di ieri). Protagonista di una carriera clamorosa, con ruoli indimenticabili come quello di Michael McBride in O’Gill e il re dei folletti, e anche di qualche film nel quale interpretava un semi-sconosciuto agente segreto, Connery ha lavorato con alcuni dei più grandi nomi del cinema del Novecento.

Prendete solo il 1974: nel giro di pochi mesi, il primo russo con l’accento scozzese della storia del cinema lavorò con Sidney Lumet in Assassinio sull’Orient Express e con un altro gigante come John Boorman, reduce dal successo di Un tranquillo weekend di paura e pronto a lanciarsi in una nuova e per lui inedita sfida. Sfida che, inizialmente, doveva essere l’adattamento cinematografico del Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, progetto che però saltò a causa degli spaventosi costi di produzione previsti che fecero cambiare idea in tempo zero a United Artists. Boorman si trovò così con in mano un pugno di mosche e nella testa la fissa di volersi cimentare con il fantasy, o comunque di provare a inventare un mondo immaginario dove ambientare la sua prossia opera: il risultato si chiama Zardoz ed è un piccolo culto, nonché la dimostrazione che non basta avere buone idee e buona volontà per eccellere nel world building.

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Il mio regno per un mutandone

Cosa c’entra Sean Connery e come siamo finiti a parlare di Zardoz?

Sean Connery c’entra perché all’inizio non sarebbe dovuto neanche comparire nel film; al suo posto era stato scritturato Burt Reynolds, che però si ammalò e dovette lasciare la parte a un tizio che aveva appena smesso di essere James Bond e che, paradossalmente, faticava a trovare nuovi ruoli, e che dunque non si fece problemi ad accettare la proposta di Boorman (non fu l’unico, ovviamente: lo script convinse anche Charlotte Rampling, che lo trovò “poetico” e accettò con entusiasmo la parte). Zardoz divenne così il nuovo progetto del regista di Un tranquillo weekend di paura, un’epica storia di fantascienza con protagonista 007 e girato con l’aiuto (pur se non accreditato) di Stanley Kubrick: se le cose fossero andate come credeva Boorman, Zardoz avrebbe potuto avere l’effetto che ebbe Una nuova speranza solo tre anni dopo.

Il problema è che le cose non andarono come credeva Boorman, che, ispirato dalla lettura del Signore degli Anelli, si convinse che per creare un mondo immaginario interessante fosse assolutamente necessario renderlo il più ricco, complesso e stratificato possibile, inventarsi nomi e termini tecnici e concetti e soprattutto regole – che, in altre parole, la sovrastruttura fosse più importante della storia. Zardoz è un film che soffre dello stesso problema che Harrison Ford fece presente a George Lucas sul set di Star Wars (certe cose funzionano quando le scrivi, un po’ meno quando le metti in scena), con la differenza che nel secondo caso parliamo di un film che spogliato degli orpelli sci-fi è un classico viaggio dell’eroe in tre atti archetipico, coinvolgente e facile da seguire, mentre Zardoz, nelle parole dello stesso Boorman, «è più vicino alla miglior fantascienza letteraria, [non è] un film di avventura con i costumi spaziali».

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E i Brutals e gli Eternal e il Vortex…

Il risultato è che Zardoz è, per usare un termine tecnico, un casino da seguire e da spiegare, intricatissimo, pieno di termini che vengono pronunciati con La Lettera Maiuscola tipo The Vortex o The Eternals e che se fossimo in un videogioco tipo Mass Effect spingerebbero a mettere in pausa per consultare l’enciclopedia intera per capire di cosa si sta parlando; è il ritratto di una società spaccata in due (ricchi e poveri, immortali e mortali, ragione e sentimento, uomo e animale, e tutti gli altri dualismi che volete), che funziona secondo principi complicatissimi ma che discendono tutti dalla noia nella quale vive immersa la metà immortale.

È il genere di impalcatura che forse solo l’autore comprende appieno, e che si è costretti a spiegare con frasi tipo “gli Eternals sono immortali e non invecchiano e se muoiono per un incidente vengono reincarnati in un altro corpo identico e per questo motivo la loro esistenza ha perso di senso ma ciononostante continuano a vivere isolati nel Vortex dove adorano un grosso sasso volante che si chiama Zardoz e dove passano le giornate a vegetare e impastare pane in una sorta di lockdown cosmico, i Brutals invece vivono nel deserto di Mad Max e la loro unica ragione di vita è raccogliere il grano per gli Eternals, e poi ci sono i misteriosissimi Brutal Exterminators che non sono né Brutals né Eternals e lavorano per gli Eternals terrorizzando i Brutals per tenerli a bada nonostante questi ultimi non abbiano mai dato l’impressione di volersi ribellare in qualche modo, ah e gli Eternals sono immortali grazie all’incessante lavoro di un’intelligenza artificiale che si chiama The Tabernacle, ma quando devono punire uno dei loro lo fanno invecchiare apposta, e un giorno un tizio che si chiama Zed e indossa un mankini rosso riesce a penetrare nel Vortex e lì cominciano i casini”.

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Un film che ci si capisce non ci si capisce

Zed è ovviamente Sean Connery ed è il classico “selvaggio che arriva nella civiltà e la scombussola”: considerato alla stregua di una bestia dall’avanzatissima società degli Eternals (Zed è un Brutal Exterminator), stando a contatto con loro si dimostra più intelligente del previsto e generatore di catastrofi e lieti fini, e Zardoz parla di questo, di un viaggio di scoperta della società del Vortex e delle sue infinite e complessissime regole, visto dagli occhi di un tizio che per mestiere spara ai presunti incivili. È un mistero che si svela pian piano sia a Zed sia a chi sta dall’altra parte dello schermo, e per questo richiede un investimento intellettuale fortissimo soprattutto all’inizio; Zardoz è un film molto chiaro a chi l’ha scritto e molto meno a chi lo guarda, ed è questo, più che i mutandoni di Sean Connery, il suo vero, insormontabile difetto.

Perché è vero che Zardoz è un nome che salta sempre fuori quando bisogna citare “film imbarazzanti fatti da grandi attori”. Ed è vero che la scelta del costume di Sean Connery è ancora discutibilissima 46 anni dopo. Ma non è vero che il film di Boorman è uno dei peggiori film di sempre, ed è ingeneroso citarlo nella stessa frase in cui si citano i film di Ed Wood o Battaglia per la Terra. Innanzitutto perché parla di cose genuinamente interessanti, prima fra tutte il nostro rapporto con l’invecchiamento e la morte. Poi perché, mutandoni a parte, è visivamente sovraccarico e sublime come tutti i film di Boorman. E infine perché è ambizioso, filosofeggiante, è un film che punta in alto e che vuole a tutti i costi diventare un capolavoro e un nuovo classico, e non si può non ammirarne lo spirito, anche se i risultati non sono sempre all’altezza.

Ancora tanti auguri Sean, e cento di questi mutandoni.

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