Sappiamo bene che, in mezzo ai nostri lettori, ci sono parecchie persone che non hanno bisogno di spiegazioni o di presentazioni nel momento in cui ci approcciamo a riportare la nostra intervista doppia con Alec Gillis e Tom Woodruff Jr.. Per tutti quelli che, giovani o meno giovani, nutrono una vera e propria viscerale ammirazione verso i “film di mostri” degli anni ottanta e novanta, si tratta di due nomi a dir poco leggendari. I due, cresciuti alla scuola di Roger Corman e Stan Winston, sono i fondatori dell’Amalgamated Dynamics, una ditta che, dal 1988, si occupa di dare vita a tante mostruose creature – e non solo – di pellicole come Tremors, Alien 3 e Alien – La Clonazione, La Morte ti Fa Bella, Starship Troopers. Uno dei due, Tom Woodruff Jr., si occupa anche d’interpretare direttamente il bestione di turno. Inconsapevolmente, avete assistito alle sue performance nei panni – e nel lattice – dello xenomorfo principale negli Alien citati prima, ma anche negli spin-off in cui gli aberranti extraterrestri hanno avuto a che fare con i temibili Predator, Alien Vs Predator e Aliens Vs Predator 2, o in memorabili cult degli anni ottanta come Pumpkinhead e Scuola di Mostri.

Più di recente, Gillis e Woodruff, hanno dato forma al parassita alieno del prequel della Cosa, il film di Matthijs van Heijningen Jr che racconta l’antefatto del cult firmato John Carpenter, disponibile in Italia direttamente in home video a partire dal prossimo 7 novembre.

 

AB: Per prima cosa, vorrei farvi i miei più sinceri complimenti e non si tratta delle classiche parole di rito, ma di vera e propria ammirazione. Negli anni ottanta ero un bambino e quindi sono letteralmente cresciuto con i vostri “creature feature” così pieni di meraviglioso effetti di Make up.

Tom: [Ridendo, ndr]Cielo è vero, a me in effetti sembra ieri, ma in effetti tu mi stai dicendo che negli anni ottanta eri un bambino che guardava i nostri film e a me pare che sia passata una settimana. 30 anni sono letteralmente volati.

AB: Il tempo vola in effetti. Bene, direi di partire con l’intervista. Parlateci della vostra carriera, del vostro rapporto con una leggenda come Stan Winston.

Alec: Fin da piccolo amavo i mostri e mi dedicavo alla realizzazione di film in stop motion e robe come queste, poi crescendo ho avito la fortuna d’incontrare qualcuno che lavorava con Roger Corman e ottenere il mio primo lavoro con lui. Poi, visto che sia io che James Cameron lavoramo con Corman, ho preso parte alla realizzazione di The Terminator dopo aver frequentato la scuola di cinema della UCLA. In seguito, alla factory di Stan Wisnton, ho incontrato Tom con cui ho inaugurato la Amalgamated Dynamics, Inc. Il nostro primo lavoro è stato Tremors, prodotto da Gale Anne Hurd, con cui avevamo collaborato già per Terminator e Aliens.

Tom: C’ un sacco di arte nel dare vita agli animatronic, così come accade in tutti i lavori che richiedono uno sforzo creativo. Finisci a fare questo lavoro per passione, perché hai sempre avvertito il desiderio di dedicarti a una certa attività. Quindi è seguendo il mio amore che ho mosso i primi passi in questo mondo, ispirato dal lavoro di maestri come Harryhausen. Poi posso dire di aver avuto la fortuna d’imparare il mestiere da Stan, con cui ho lavorato appena arrivato a Los Angeles, e da un sacco di altri professionisti. Ma, in aggiunta all’essere tale, Stan era un maestro nel lavorare con le persone, nel collaborare con le maestranze, nel motivare chi lavorava insieme a lui. Quando lavori a un blockbuster hai squadre composte da 60, 70 persone e devi saperle gestire. Lui sapeva tirare fuori il meglio dai suoi collaboratri e tutti, dal primo all’ultimo, lo rispettavano.

AB: Siete fan dei due film della Cosa, quello di Howard Hawks e quello di John Carpenter da cui il prequel prende le mosse?

Alec: Sia quello di Howard Hawks che quello di John Carpenter sono due capolavori, ma quando quello con Kurt Russell è uscito al cinema facevo il college e rimasi letteralmente senza fiato per i suoi effetti, il senso di tensione.

Tom: Li amo entrambi. Quello di Hawks è un classico del genere ha ancora una notevole tensione. Quello di Carpenter è stato un vero e proprio punto di svolta nell’arte degli animatronic. E’ un film che funziona benissimo anche oggi.

AB: E’ un rischio andare a toccare pellicole che sono ritenute come dei veri e propri mostri sacri?

Tom: Si, penso di si, ma ci siamo avvicinati a esso con un grande senso di rispetto e anche verso i fan. Operazioni come queste sono complicate perché vuoi che siano apprezzate dai fan, ma vuoi anche che siano film capaci di reggersi sulle proprie gambe e di attirare un pubblico più grande. Nello specifico poi i fan tendono a prendere sempre tutto in maniera molto personale. E non sappiamo se questa categoria possa mai essere soddisfatta al 100%.

 

AB: Il film originale aveva un elevatissimo senso di tensione perché nessuno sapeva niente a riguardo. E poi ogni singolo personaggio poteva rappresentare una minaccia potenziale. Come avete trattato questo elemento nel prequel?

Alec: E’ sicuramente l’aspetto più difficile su cui lavorare quando hai a che fare con un prequel o un sequel ed è quello con cui abbiamo combattuto anche noi. In operazioni come queste hai davanti a te due strade: o ti riconnetti in maniera chiara a quanto fatto in precedenza oppure intraprendi un percorso differente, come ha fatto James Cameron con Aliens. Abbiamo cercato di mantenere un livello di tensione analogo al primo, anche se, ovviamente, si tratta di un film molto noto.

Tom: E’ stato molto arduo ricatturare quel senso di tensione. E’ un po quello che è accaduto con Alien di Ridley Scott e Aliens di James Cameron. Certo, alla fine si vede la regina aliena, ma sapevi già che aspetto avevano gli alien e quindi dipendeva tutto dalla bravura del filmmaker. Come hai detto tu stesso, nel primo film c’era molta tensione perché non si sapeva nulla, non sapevi che forma avesse la cosa. Nel prequel hai già questa nozione, quindi c’è stato un compito più difficile da eseguire.

AB: Il film originale aveva un design delle creature davvero d’impatto. Ha ispirato un sacco di film e anche dei videogame, se consideriamo che il parassita Plagas di Resident Evil è ispirato all’ospite della Cosa. Come vi siete approcciate al creature design?

Tom: Il nostro obbiettivo principale è stato dare vita a un alieno che appartenesse in maniera chiara allo stesso mondo di quello visto nel film di John Carpenter quindi abbiamo impiegato un sacco d’indizi visivi dal primo film. Volevamo mantenere un look simile, dare vita a una creatura che avesse gli elementi fisici dell’ospite, la faccia, pezzi di corpo…

AB: Al giorno d’oggi abbiamo quasi sempre a che fare con la computer grafica. Come vi dicevo prima, sono cresciuto negli anni ’80 e quindi amo alla follia gli effetti prostetici. Hanno un realismo magico che la computer grafica non può dare. In materia di “creature feature” c’è una ricetta ideale per l’equilibrio perfetto fra cg e effetti pratici?

Alec: Si, mi trovo d’accordo con quello che dici. L’uso di effetti pratici può aiutare in un modo diverso rispetto alla CGI. Hai l’interazione diretta con gli attori, hai qualcosa che appare direttamente nella macchina da presa, con tutto quello che ne consegue a livello registico. C’è un senso di concretezza diverso rispetto al lavoro col digitale. Non è che io sia necessariamente un purista, sua chiaro, ma l’uso di effetti pratici rende grandioso un film, penso a opere come District 9, che sarebbero stati profondamente differenti se basati sul solo computer. Quando abbiamo lavorato a Starship Troopers abbiamo usato un sacco di effetti pratici e, anche oggi, il film è molto bello da vedere.

Tom: Non so se ci sia una ricetta magica in tal senso, ma di certo si tratta di trovare un equilibrio dipendente dal tipo di film. Non sono una persona che rigetta la computer grafica, grazie ad essa puoi fare cose davvero grandiose. Tuttavia in un film come La Cosa, in cui si suppone che il grosso del lavoro sia basato sugli effetti prostetici, mi sono poi ritrovato di fronte a un prodotto finito in cui il nostro operato è stato ritoccato al computer in maniera un po’ troppo invasiva. Eppure la gente ci ha detto che, nonostante le intrusioni del digitale, risulta comunque più soddisfacente di un mostro fatto interamente in computer grafica.

AB: Siete soddisfatti del prodotto finito? O avete qualche tipo di rimpianto per cose che non siete riusciti a implementare a causa del budget, del tempo a vostra disposizione…

Tom: Sono soddisfatto si. Mi spiace che questo film sia stato un po’ preso di mira dai fan, ma quando hai a che fare con pellicole come queste devi anche effettuare delle scelte commerciali, per così dire. Se devo parlare di rimpianti mi ricollego a quanto detto prima: mi sarebbe piaciuto vedere un po’ più di lavoro umano nel prodotto finito, e meno elementi digitali. Abbiamo fatto un lavoro enorme sulla pelle, sul tessuto della creatura, con tutte le varie sfumature di colore, le stratificazioni, un tocco d’umanità che si è perso un po’.

AB: Quali sono i film cui siete più legati, per le soddisfazioni che vi hanno dato o per i grattacapi che vi hanno regalato?

Alec: Beh, probabilmente Mortal Kombat. Anche se sono molto fiero di Goro è stato molto difficile realizzarlo. Personalmente poi sono molto legato a Tremors e Alien 3. Nel complesso posso ritenermi molto fortunato per la mia carriera.

Tom: L’esperienza più piacevole è stata Pumpkinhead, è stato il primo film che Stan Winston ha diretto e il primo in cui lasciò il compito di reaizzare il mostro e il suo design a me e Alec, poi ero io a interpretare il mostro…Sono molto contento che sia diventato un piccolo cult amato ancora oggi.

Quanto ai mal di testa…parlerei più che altro di un trend in voga a Hollywood per cui ormai ci si concentra quasi esclusivamente sull’apporto della computer grafica e quello che facciamo noi realizzatori di effetti speciali pratici non viene apprezzato molto, siamo quasi ospiti non graditi sul set. Quello che faciamo noi richiede del tempo, mentre i produttori vogliono controllare tutto in post-produzione e così via.

AB: Il vostro lavoro è cambiato molto dagli anni’80?

Tom: Beh, in termini artistici non direi, però ci viene chiesto di fare di più con meno soldi e meno tempo. Sono periodi difficili, un sacco di ditte del settore stanno chiudendo i battenti perché non riescono più a andare avanti. Anche noi dobbiamo dedicarci a prodotti extra cinematografici per sopravvivere.

AB: Cosa potete dirci dei vostri progetti futuri?

Tom: Quando abbiamo lasciato Stan Winston 24 anni fa, l’abbiamo fatto per un motivo, ovvero sia prendere una via molto improntata al filmmaking. Come ti dicevo prima sono periodo difficili, quindi ci dedichiamo a film magari più piccoli, dal budget inferiore in cui il nostro lavoro può trovare spazio.