"Fly me to the moon 

And let me play among the stars 

Let me see what spring is like 

On Jupiter and Mars"

 

Ci siamo recati molte volte sulla Luna, accompagnati e presi per mano dalla fantasia di tanti artisti differenti. Alcuni di voi potrebbero esserci andati di recente insieme a Martin Scorsese e al suo Hugo Cabret che, a 110 anni dal Viaggio nella Luna di Georges Méliès, ci hanno fatto nuovamente schiantare sull'occhio del nostro satellite.

Oppure vi sarà capitato di effettuare Una Fantastica Gita insieme ad un eccentrico inventore inglese di nome Wallace e al suo espressivo ed intelligentissimo cane Gromit, rimasti drammaticamente senza cheddar; come tutti sanno, la Luna è interamente composta di formaggio e rappresenta una scorta quasi inesauribile, e a costo zero, dello stesso.

Ma della Luna si parlerà anche durante la Notte degli Oscar di domani, grazie all'italiano Enrico Casarosa, artista della Pixar che col suo La Luna, concorrerà alla statuetta per il Miglior Cortometraggio Animato.

Il lato negativo dell'intera faccenda è che, a prescindere dall'esito della serata, per poter vedere la sua opera, dovrete aspettare l'arrivo nelle sale cinematografiche del nuovo lungometraggio Pixar, Ribelle – The Brave, previsto per settembre. Noi abbiamo già avuto la fortuna di vederlo e, senza stare a spoilerare troppo e senza scadere in una sorta di orgoglio nazionale da quattro soldi, possiamo affermare con certezza che si tratta di un ritorno in grande stile del corto targato Pixar. La comicità ad effetto di alcuni titoli più o meno recenti come Stu – Anche un alieno può sbagliare o Presto, viene messa da parte a favore di una narrazione più cadenzata, giocata sulle pause, sulle espressioni piene di stupore e curiosità di un bambino che si trova alle prese con una sorta di rito di passaggio in compagnia di suo nonno e suo padre. Sette minuti di grande cinema in cui Casarosa riesce a trasmettere allo spettatore tutto il suo amore verso l'arte di Fellini e la maestria di Miyazaki, con una piccola gemma di regia, storytelling e character design.

Una storia ambientata fra la terra (anzi, il mare a dirla tutta) e il cielo che, per uno strano scherzo del destino, ha avuto delle peculiari ripercussioni anche su questa nostra intervista. Abbiamo raggiunto telefonicamente Enrico proprio mentre si trovava all'Aeroporto di San Francisco in attesa di partire verso Los Angeles, con un piede che stava sull'aereo e l'altro che stava ancora passando i controlli di sicurezza dell'imbarco.

Come storyboard artist dovevi recepire e elaborare le idee del regista. Come ti sei trovato a lavorare in direzione opposta, in un frangente in cui eri tu il regista che doveva comunicare le proprie idee al altri artisti e tecnici?

Guarda, il bello di lavorare ai corti è che si riesce a fare tanto da soli. Tutto lo storyboard di La Luna l'ho realizzato da solo quindi sono riuscito ad avere molto controllo. Se fosse stato un lungometraggio sarebbe stato tutto molto diverso. Il regista in quel caso ha un intero team di storyboard artist cui deve comunicare quello che ha in testa. Quindi a livello d'ideazione, visualizzazione e realizzazione è stato facile. Ho fatto tutto io. Dopo è chiaro nelle altre fasi della produzione, quando passi all'animazione, devi andare a ispirare le persone. Devi mostrare loro dei film, le performance di attori. Io ho fatto vedere un po' di Fellini, c'era Giulietta Masina in La Strada che sembrava molto adatta per il nostro bambino. Per cui si, devi saper stimolare i tuoi collaboratori…però sai, il fattore basilare è che se stai raccontando una storia in cui il team riesce a confidare profondamente, ad immedesimarsi, diventa una questione che ha meno a che fare con la personalità del singolo, quanto con la storia che stai per narrare.

Una cosa che m'incuriosisce molto è il tuo rapporto con gli elementi. Con Up, in qualità di storyboard artist, hai avuto a che fare con l'aria, mentre col tuo libro The Venice Chronicle hai, gioco forza, toccato il mare della laguna più famosa. La Luna unisce entrambi questi elementi. Dici che tutto questo ha a che fare con la tua indole di genovese trapiantato in un'altra città di mare come San Francisco?

Sicuramente. San Francisco è un ambiente che ho trovato subito abbastanza familiare, come baia, come mare…Qui ti senti bene anche più che a New York, dove ho vissuto qualche anno. In effetti non c'è dubbio: volevo che il mare facesse parte di La Luna, è una gran parte della storia, anche a livello cromatico, a me piacciono molto i blu. Sono cose che ti rimangono nell'anima crescendo con il mare sempre davanti agli occhi, è un fascino che è sempre presente, che rimane dentro di te. Quanto al volare è un amore che proviene da Hayao Miyazaki, che è un po'un istituzione in questo. In più è una costante nella mia famiglia: mio fratello è pilota per la Meridiana, abbiamo sempre viaggiato spesso dato che mio padre è un agente di viaggio…per cui si, hai ragione.

Tu sei un italiano trapiantato negli Stati Uniti e per La Luna hai avuto modo di lavorare con un musicista come Michael Giacchino, italoamericano con doppia cittadinanza che, anche attraverso questo corto, può aver trovato una via per riconnettersi con le sue radici. Nonostante la difficoltà di essere oggettivi con il proprio lavoro, come giudichi questo incontro fra la tua sensibilità artistica e quella di Michael?

E' stato bello perché gli ho proprio espressamente chiesto di riconnettersi alle sue radici. In molti modi anche io sono qua ad esaltare la mia italianità ed è davvero facile trovare un terreno fertile nelle bellissime opere del nostro paese, da Fellini alle musiche di Nino Rota. Così come io ho tratto ispirazione da questi lavori, ho cercato di dare gli stessi stimoli a Michael. L'ho bombardato di cd con le colonne sonore di Amarcord, con le partiture di Nicola Piovani, Roberto Murolo, altre cose un pochino più folk, musicalmente più semplici in maniera tale da andare a creare una partitura che andasse a rispecchiare un po' questa semplice famiglia di braccianti.

So che ami Italo Calvino, uno scrittore che, d'altronde, è impossibile non amare, e so che è stato molto importante per te a livello artistico. Tuttavia il fatto di essere diventato tu stesso papà ha influito nella scelta del tema?

E' stato molto importante, ma non tanto per la storia in sé, quanto per il cosa dire e il come dirlo. Avvertivo la responsabilità di dire qualcosa di positivo, di buono ai bambini. Senz'altro essere padre ti aiuta in questo. Però poi sai, quando hai un cortometraggio davanti a un film della Pixar sai che in linea di massima ci saranno molti bambini che lo vedranno. E' una responsabilità che non puoi prendere sottogamba. Devi ispirare, dare dei messaggi positivi. Non puoi sperare in nulla di più bello del riuscire a fare un pochino di differenza nella vita di un bambino riuscendo a trasmettergli degli stimoli, della positività con il tuo lavoro.

Questa è la classica domanda del giornalista che vede in un film o in un corto cose che magari esistono solo nella sua testa. Diciamo che una prima parte, come sospettavo, l'hai confermata tu, ovvero sia il tuo legame con Miyazaki. Poi dopo sai, guardando La Luna, il character design, il loro strano modo di esprimersi, tanto espressivo quanto incomprensibile, mi hanno ricordato la poetica di Shigeru Miyamoto e dei videogame della saga della Leggenda di Zelda. Ma naturalmente questo è solo un mio vaneggiamento, quindi la domanda che ti faccio è quanto Giappone c'è in Enrico Casarosa, nel tuo animo di artista, nelle tue opere?

Tanto in effetti. Nutro un enorme amore verso la cultura giapponese proprio perché la mia generazione c'è cresciuta. Siamo cresciuti a pane, pasta e cartoni animati giapponesi grazie alla televisione italiana. Quindi, per me, c'è un notevole ruolo formativo. Poi negli ultimi quindici anni mi sono recato spessissimo in Giappone come turista, ho imparato un po' la lingua, è una cosa che ho nel sangue.

Stilisticamente Miyazaki è il mio mito, la mia influenza più grande. I videogiochi non altrettanto più che altro perché finisco a perderci troppo tempo, per cui di solito cerco di star loro lontano (risate)! Ho un approccio all'insegna della dualità verso i videogames: da una parte mi divertono, dall'altra ho paura di fissarmi li davanti. Al giorno d'oggi con questi smartphone un po' di tempo ce lo perdo, ecco!

Comunque sia, tornando alla cultura giapponese, sono un patito dei film di Kurosawa e delle opere cinematografiche nipponiche più recenti, mi piace sempre tener d'occhio cosa arriva dall'arcipelago del Sol Levante. Ho tanti amici da quelle parti, artisti che rispetto e continuo sempre a sperare in una collaborazione un po' più specifica in ambito giapponese.

Molto spesso nei corti Pixar c'è un tipo di comicità slapstick. Nel tuo La Luna c'è un approccio molto più emozionale, non dico simile, ma sul genere di Parzialmente Nuvoloso. Quanto è difficile veicolare delle emozioni nel breve arco temporale di un corto?

Quella è stata la sfida più grande cui ho dovuto far fronte. La mia sensibilità, naturalmente, è lontana dallo slapstick. Volevo che il corto avesse un respiro più poetico, un ritmo un pochino più languido se vogliamo. A livello di personaggi ed emozioni ti trovi effettivamente a domandarti “quanto potrò fare in questo lasso di tempo?”. Tra l'altro inizialmente mi avevano detto di mantenermi intorno ai 4 minuti e mezzo, poi alla fine sono arrivato a sette minuti per cui ho avuto un maggior margine di manovra nel riuscire a connotarlo con questo ritmo più cadenzato, pacato. E siamo riusciti a restare nel budget perché, all'inizio, ti forniscono una determinata cifra con cui lavorare. Hai tot soldi per tot minuti. Per cui questa piccola, ma maggiore possibilità di gestire questo “respiro” mi ha aiutato a veicolare e trasmettere determinate emozioni.

Restando in tema emozioni, una domanda doppia. Come ti sei sentito quando John Lasseter ha dato il via libera al progetto? E come ti senti ora che stai per rappresentare la Pixar alla Notte degli Oscar?

Eh si alla faccia! All'inizio non ti rendi neanche conto di quello che ti aspetta. La cosa bella è che hai tanta gente intorno a te che cerca di trasportare questo tuo strano sogno su pellicola, per cui sei contentissimo di avere questa possibilità d'imparare, d'intraprendere questo viaggio, questa produzione con tutte persone. Ero felicissimo pensando a tutte queste potenzialità, tutte queste cose che non mi aspettavo neanche. Fare questo corto, in effetti, è stato divertentissimo, lavorare con i miei collaboratori, con la crew, tutto è stato davvero perfetto. Non dovevamo far fronte ad una pressione elevata o che, quindi a livello creativo mi sento del tutto appagato. Poi ora, si, sto per salire su un aereo diretto a Los Angeles ed è una cosa davvero strana…la testa va un po' da tutte le parti. Stai qua e ti ripeti “ce la farò? Non ce la farò? Ma non importa bisogna godersi ogni momento”. Devi stare attento alle aspettative, non voglio andare giù e magari rimanere scontento, deluso. Quindi posso dire di essere appagato e di ritenermi felice sia in caso di vittoria che di sconfitta. Cerco di tenere a mente questo e assaporare ogni attimo. Ovviamente poi il rappresentare quello che chiamiamo “La Luna crew”, quel gruppo di persone favolose che mi ha aiutato a dare vita al corto, e delle quali sono molto orgoglioso, è un valore aggiunto.

Il film verrà proiettato prima di Brave. Pensi che il tuo corto e il lungometraggio abbiano qualche sorta di connessione? Entrambi ci pongono di fronte ad uno scontro generazionale: nel tuo corto è rappresentato dal bambino e dalla sua avventura con suo pade e suo nonno, mentre in Brave dalla storia della ribelle principessa Merida. In più sono entrambe delle opere profondamente europee fatte in seno a uno studio americano che vede, al suo interno, talenti da ogni parte del mondo.

Si, secondo me hai ragione i paralleli ci sono. Ad essere sincero, alcuni di questi parallelismi mi sono apparsi in modo più evidente solo in questi ultimi tempi, non ci avevo pensato fino a questi ultimi mesi in cui lo studio sta ultimando il film. In effetti, sopattutto la questione generazionale è molto simile.

Entrambe le storie vanno a raccontare la vicenda di due giovani che devono trovare la loro strada, per cui si, concordo nel momento in cui osservi che c'è una somiglianza in tal senso. Inoltre è vero, c'è questo gusto, quest'atmosfera profondamente europea, seppur diversa per carità dato che La Luna ha a che fare con l'Italia e Brave con la Scozia. Comunque sono davvero curiosissimo di vedere come staranno insieme una volta che arriveranno al cinema. L'abbinamento sulla carta sembra interessante, proprio per queste considerazioni.

Come alcuni di voi ricorderanno, avevamo già incontrato Enrico Casarosa lo scorso ottobre, in occasione del ViewFest 2011 di Torino. Vi riproponiamo anche la videointervista realizzata al tempo:

 

 

Alla Pixar Casarosa ha iniziato a lavorare come story artist (Cars,Ratatouille, Up), per poi sviluppare e dirigere il cortometraggio La Luna e ora è head of story del nuovo film sui dinosauri della Pixar.