Jessica Barden, la star della serie The End of the F**king World, è la protagonista del film Holler, scritto e diretto da Nicole Riegel, e le due artiste ci hanno rivelato qualche curiosità riguardante lo sviluppo del progetto in un’intervista rilasciata in occasione della presentazione avvenuta nell’ambito della sezione del Toronto Film Festival Industry Selects.

Il lungometraggio si svolge in una città dell’Ohio dove le fabbriche stanno chiudendo e le opportunità economiche stanno drammaticamente diminuendo. Ruth Avery (Jessica Barden) riesce a essere ammessa all’università ma, per poter pagare i propri studi, decide di intraprendere un’attività illegale insieme al fratello rubando di notte rottami metallici dalle industrie. Ruth deve però fare i conti con una scelta difficile: continuare a sperare in un futuro promettente o occuparsi della famiglia.

Holler nasce dall’omonimo cortometraggio che hai diretto nel 2016, come si è evoluto il progetto? Nicole Riegel: Il film è molto diverso dal corto, anche se hanno lo stesso titolo. Quando ho iniziato a sviluppare il lungometraggio è diventato qualcosa di davvero differente, interamente nuovo. Lavorando alla sceneggiatura mi sono resa conto che avrebbe preso una direzione totalmente nuova.

In che modo hai delineato il personaggio di Ruth? Jessica è stata coinvolta nello sviluppo della sceneggiatura?Nicole Riegel: Penso che sia qualcosa in continua evoluzione e io e Jessica abbiamo parlato molto del suo personaggio, via FaceTime perché era nel Regno Unito e in altre parti del mondo. Abbiamo analizzato il film scena dopo scena e lo stesso è accaduto durante le riprese. Abbiamo sempre saputo chi era questo personaggio, quale era la sua vera natura, e questo non è mai cambiato anche se il personaggio era in continua evoluzione. Penso sia una domanda interessante perché ci vuole davvero tanto tempo per poter realizzare un film e cambi nel corso degli anni che precedono le riprese. Nella vita di Jessica sono accadute molte cose, penso anche alle esperienze vissute con le serie e i film, durante il periodo che abbiamo trascorso cercando di realizzare il film ed è inevitabile cambiare. Il modo in cui questa situazione può influenzare un personaggio è interessante.

Holler è stato girato con la collaborazione anche di non professionisti e in una vera comunità dell’Ohio, quale è stato l’aspetto più difficile dal punto di vista della recitazione?Jessica Barden: Stavamo girando in un’area dove le persone di solito non realizzano film e stavamo lavorando con chi vive realmente in quei luoghi dell’Ohio. Avevamo a disposizione al massimo 2-3 ciak, se eravamo fortunati, per girare una scena. Seguivamo con attenzione lo script, ma inevitabilmente c’erano dei momenti in cui spesso ci allontanavamo da quanto scritto nel copione adattandoci alla situazione, in particolare nelle scene in cui eravamo impegnati a raccogliere i rottami metallici. In quel caso io, Dustin Lane, il nostro direttore della fotografia, Nicole e una delle nostre produttrici cercavamo di capire come realizzare le sequenze, visto che era una struttura realmente usata come fabbrica. Molte delle scene “fisiche” che vedete che non si basano sui dialoghi sono prevalentemente improvvisate sul momento del ciak.

Hai recentemente lavorato alla serie The End of the F**king World, l’esperienza vissuta realizzando quel progetto ha avuto qualche influenza sul tuo approccio a Ruth, una giovane anche in questo caso dalla vita complicata?Jessica Barden: Il successo dello show e l’incredibile accoglienza positiva riservata al personaggio di Alyssa, con così tante persone che si sono immedesimate in lei, mi hanno permesso di avere questa fantastica sicurezza nel parlare realmente quando sento che un personaggio o una storia dovrebbero essere visti in un film. Mi ha reso ancora più sicura nel pensare che questo film sarebbe stato un successo, non solo per quanto riguarda l’accoglienza da parte degli spettatori, ma anche durante le riprese e la produzione. Il fatto che un personaggio come Alyssa sia stato accolto così bene è stato particolarmente importante: mentre stavamo girando ci era stato detto che non stavamo realizzando qualcosa che pensavamo sarebbe piaciuto perché ci dicevano che era troppo dark o venivano sottolineati altri possibili aspetti negativi. Abbiamo però fatto quello che ci sembrava giusto e ci dava delle sensazioni positive e ha avuto successo. Si è trattata quindi di un’esperienza che mi ha portata a capire che devo fidarmi del mio istinto e che gli spettatori vogliono vedere persone reali. Vogliono vedere sicuramente anche costumi incredibili e situazioni fantastiche, ma c’è il bisogno di vedere qualcuno con cui è possibile rapportarsi di più. Questa è sicuramente la lezione che ho imparato da The End of the F***ing World e che ho portato a questo progetto e in generale a tutta la mia carriera.

Uno degli elementi più emozionanti del film è il rapporto della protagonista con il fratello e la madre, in che modo avete reso in modo realistico quel legame?Jessica Barden: Nicole ha creato un ambiente incredibile per tutti noi, in particolare per me e Gus Halper che interpreta Blaze, permettendo semplicemente di creare questo rapporto. Quando siamo arrivati in Ohio abbiamo vissuto insieme per una settimana, riuscendo così a capirci, a creare quel feeling necessario a interpretare questo legame tra fratello e sorella e comprenderci come persone. Quando è arrivata Pamela Adlon, che è stata impegnata solo per un giorno per girare tutte le sue scene, eravamo alla fine delle riprese e io e Gus eravamo davvero legati, abbiamo lavorato così bene e ormai ci conoscevamo davvero, vivevamo in un hotel in stanze una accanto all’altra, giocavamo a Mario Kart ogni sera, ho adorato trascorrere il tempo con lui… Questa situazione era perfetta per ciò che richiedeva la scena perché nella storia la madre è davvero distante e i nostri personaggi sono diventati come dei genitori uno per l’altra, quindi questo legame complica ulteriormente il rapporto con lei. C’è questa donna che è una madre, ma che non sa nulla dei suoi figli, proprio come accaduto tra noi attori. E poi Pamela è incredibile, è così professionista ed è immediatamente aperta e disponibile. Non è come certi attori che rimangono un po’ a distanza dagli altri, è arrivata sul set e ha immediatamente collaborato e si è impegnata a realizzare ciò che voleva fare Nicole. Abbiamo lavorato davvero poche ore con lei, ma è stato incredibile.

Realizzare un film indipendente è sempre una sfida, quale è stato l’aspetto più complicato da gestire sul set?Nicole Riegel: La parte più difficile da girare, come accennato anche da Jessica, era quella legata ai momenti nelle fabbriche perché stavamo girando in strutture che sono realmente in attività per avere l’atmosfera e l’aspetto giusto. E non puoi bloccare il lavoro di fabbriche in cui lavorano migliaia di persone. La gestione delle location ci ha quindi messi davvero alla prova e causato molta tensione, dovendo adeguarci, gestire i tempi senza una particolare autonomia, essere in movimento. Ci sono davvero tanti tasselli che diventano una sfida e ci sono davvero tante comparse necessarie nella scena in cui viene interrotta la produzione e non si sono presentate sul set quasi la metà delle persone che dovevano venire. Abbiamo quindi dovuto trovare un modo per girare in modo che sembrasse ci fosse una folla in realtà assente sul set, portando la telecamera in mezzo a queste persone, muovendoci in modo specifico. Siamo riusciti a farlo, ma ogni volta che eravamo nelle fabbriche c’erano delle difficoltà fisiche ed emotive da superare. Tutti dovevano essere pronti a capire cosa fare, a cambiare rispetto ai piani previsti, perché era l’ambiente di lavoro di qualcuno.

Holler ha una colonna sonora davvero interessante, la musica è stata importante anche durante la preparazione della tua interpretazione?Jessica Barden: Nicole, prima delle riprese, mi ha fatto una playlist che aveva due delle canzoni che poi sono state usate nel film. Di solito quando ti mandano una playlist sono i brani che comporranno la colonna sonora e in The End of the F***ing World ogni brano era già presente nello script, ma non potevano permettersi di usare quelle canzoni per una questione economica. Penso sia grandioso ricevere qualcosa da ascoltare prima delle riprese per poter entrare maggiormente nella mente del mio personaggio e ho apprezzato davvero ricevere quella playlist: ascolto sempre musica per prepararmi a un ruolo perché mi sento più ispirata nell’ascoltare brani rispetto a leggere o vedere altre performance mentre mi preparo per un progetto. Personalmente quando lavoro uso sempre la musica e amo riascoltare quella playlist perché è quasi come accade con gli odori che ti riportano in mente determinate cose. Mi accade anche con la musica o i film.

Classifiche consigliate