I fratelli Joe e Anthony Russo, durante l’inconttro stampa di The Gray Man a cui abbiamo partecipato, hanno parlato di cinema, piattaforme e come conquistare il pubblico mondiale

Spesso i fratelli Russo hanno parlato della loro idea di cinema politico, e cioè di come abbiano intenzione di usare il cinema anche per fare film politici. Lo sono stati in certi momenti i loro film Marvel. ad esempio.

Nel corso della roundtable per la promozione di The Gray Man, il loro nuovo film in uscita oggi in sala e dal 22 luglio su Netflix, hanno molto parlato di questo approccio e di come possa concretizzarsi:

JOE RUSSO: “Noi lavoriamo nel campo del cinema spettacolare e quando sei in questo settore è molto interessante inserire nei tuoi film elementi che si relazionino al pubblico. Così chi vuole un po’ di cibo per il cervello può notare la parabola dei personaggi e chi è lì invece solo per il divertimento può tranquillamente ignorarla”.

In The Gray Man questo approccio come si concretizza?

JR: “La parabola di questo film è di stampo pugilistico: ci sono due personaggi diametralmente opposti, uno che è in un processo di avvicinamento all’umanità e l’altro in uno di allontanamento, che è un po’ quel che accade a questo nostro mondo fiaccato dalla pandemia: o supportiamo le comunità o supportiamo gli individui. Sierra 6 (il protagonista) non è mai stato libero, è andato in prigione da giovane per salvare il fratello e la CIA ha cominciato ad abusare di lui non diversamente da come prima faceva suo padre, ora però deve uscire da questa zona grigia per aiutare qualcuno che ne ha bisogno. Al contrario con il personaggio di Chris Evans facciamo un po’ di satira a quei gruppi estremisti che badano molto a come si vestono al loro look e al loro atteggiamento, esprimendo in tutto quello che fanno una mascolinità tossica”.

Cosa vi ha portato a scegliere proprio Chris Evans per questo ruolo?

ANTHONY RUSSO: “Chris ha fatto tantissimo per Captain America, è impressionante, forse è l’unico che lo poteva interpretare ma oltre a questo è un attore molto dotato tecnicamente, uno che pensa come un cineasta. Volevamo andare all’opposto di Captain America e credo che abbiamo raggiunto un traguardo merito di Chris. Interpretare sia Captain America che poi Lloyd Hanson in questo film, due ruoli agli opposti, non è da tutti”.

Oltre a film come questo lavorate anche a progetti più particolari e mondiali come Citadel, queste cose come si influenzano a vicenda?

JR: “Vogliamo guardare al di fuori della sfera anglofona. Immagina che noi siamo cresciuti vicino ad un cinema d’essai che aveva una programmazione internazionale, abbiamo sempre visto film di tutto il mondo e ci piace poter essere visti da pubblici di tutto il mondo. Specialmente nell’ultima decade esiste un pubblico mondiale che si sta sviluppando, è interconnesso e dialoga da tutti gli angoli del mondo per parlare di cinema. È un pubblico che esperisce i film tutti insieme e non frammentariamente come una volta. È un’esperienza globale e ci pare pazzesco che il cinema possa connettere il pianeta, per questo aspiriamo ad essere dei narratori globali. Per riuscirci però occorre capire come le diverse culture del mondo possano contribuire, è parte di quel che vogliamo fare e vedrete come lo faremo”.

AR: “Connessa all’idea di cinema americano c’è una forma di elitismo, e a noi non interessa, siamo decisamente più interessati a raccontare una storia per un autista di un tuk-tuk che per un occidentale comodamente seduto in poltrona. Noi veniamo da Cleveland, non siamo connessi all’industria del cinema canonica, siamo decisamente più vicini alle storie che la gente normale vuole sentire. Per questo ci piace fare film con un vasto appeal e per questo ci piace lavorare con Netflix, perchè andare al cinema è costoso, è un lusso e noi riteniamo che le piattaforme streaming stiano democratizzando lo storytelling aumentando la varietà delle voci di questi narratori, molto più di quanto abbia fatto Hollywood. Questo ci spinge a diversificare e fare cose tipo dare una possibilità ad un attore come Dhanush nel nostro film, che è fantastico”.

È un pensiero interessante ma come si applica a The Gray Man che invece si presenta come la quintessenza del cinema americano pensato per il mercato interno, che non ha le caratteristiche dei blockbuster indiani o russi ma è molto specifico della cultura statunitense?

JR: “Penso sia una storia di grande appeal, al mondo piace lo spettacolo, questo film è eccessivo e c’è intrattenimento nell’eccesso, poi sia chiaro, noi non siamo le persone che decidono gli equilibri economici dei nostri film, il mondo lo fa, noi cerchiamo di fare la nostra parte per allargare i tipi di film per i quali finanziatori come Netflix pagano. Usiamo film come The Gray Man per poi riuscire a far sì che ne possano esistere altri come Everything Everywhere All At Once. È uno scambio e un modo di lavorare che ci spiegò ai nostri inizi Steven Soderbergh: “Uno per te e uno per loro”. Ci disse anche: “Si chiama business del cinema per una ragione, perché alla parte di business non puoi sfuggire” e specialmente a questi livelli. Così abbiamo imparato a fare “quelli per loro” e contemporaneamente cerchiamo di aiutare filmmaker diversi per sesso, etnia, origini ecc. ecc. a raccontare le loro storie, finanziandoli e dandogli una pista per decollare. Guarda ad esempio Mosul che abbiamo prodotto qualche anno fa, un film da 20 milioni di dollari che è un’opportunità per fare un film di Hollywood con attori arabi nella parte degli eroi invece che dei villain”.

AR: “Penso che in sintesi la risposta alla tua domanda sia che il pubblico ci dice a chi parla questo film, questa è la cosa più eccitante: portare questo film a tutti”.

Trovate tutte le informazioni su The Gray Man nella nostra scheda.

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