Kenneth Lonergan, regista di Conta su di me, Margaret e vincitore del premio Oscar per la sceneggiatura di Manchester by the Sea, è stato impegnato in questi giorni nella cornice del Riviera International Film Festival come Presidente di Giuria.  La rassegna è dedicata al cinema indipendente e alle giovani voci di registi e registe under 35, oltre che alle tematiche ambientali.

Per l’occasione abbiamo potuto confrontarci con lui sulle sue ispirazioni artistiche, sul modo in cui delinea il realismo nei suoi film, sulla passione smodata per la fantascienza, e l’avversione per i cinecomic troppo seri. 

In 21 anni abbiamo avuto solo tre film da te diretti. La tua filmografia è fatta da piccole gemme, molto sentite e personali. Speravo quindi di poter avere buone notizie su un quarto film. Stai lavorando su qualcosa che puoi rivelarci?

Sto scrivendo due film e ho in mente di fare una serie tv, ma per ora preferisco non dire nulla. Ho paura che se ne parlo poi qualcosa va storto, è una superstizione (ride).

Comprensibile! Ci racconti invece il tuo processo creativo per scrivere un film? Da che punto parti e quanto tempo ti richiede per raggiungere la forma finale?

Di solito penso a un personaggio in una situazione particolare. Ad esempio per il mio primo film Conta su di me avevo in mente un fratello e una sorella. Ho pensato all’immagine della sorella preoccupata per la sorte del fratello che era nei guai. Da lì ho creato il resto. Parto sempre da un personaggio che porta al secondo e così via. Non parto mai dai temi, ma man mano che scrivo arrivano spontaneamente nella storia. È un mistero come accada, per me è ancora una sorta di magia.

Le emozioni nei tuoi film sono strettamente legate alle performance degli attori. Come lavori con loro? Fai molte prove o lasci libertà di improvvisazione?

Entrambe le cose. Vengo dal mondo del teatro e quindi tengo molto alla fase delle prove. Nel cinema invece c’è l’idea che se si rifanno le scene troppe volte non saranno buone, che perdano qualcosa. Alcuni attori hanno sposato questa filosofia e sono molto bravi in questo. Come ad esempio Robert Duvall, che ama fare solo due take. Molti sono come lui, mentre spesso chi viene dal teatro non la pensa così.

Perché il processo delle prove non ti dice cosa fare, ma rende chiaro cosa sta succedendo, chi sono i personaggi. C’è una comprensione più profonda degli elementi della sceneggiatura.

Ad esempio con Casey Affleck in Manchester by the Sea abbiamo parlato molto del personaggio prima di andare sul set.. Solitamente quando si gira un film non c’è molto tempo sul set, e quindi occorre parlarne prima. Ma, una volta pianificato è giusto dare agli attori il massimo della libertà.

In Conta su di me vediamo una donna fragile che ha a che fare con il mobbing e con relazioni affettive complicate. Margaret è un bellissimo ritratto di una madre con una figlia. In Manchester by the Sea il ruolo di Michelle Williams è memorabile anche con così poco screen time. Il modo in cui scrivi i personaggi femminili è molto realistico e toccante. Cosa ne pensi quindi delle nuove voci di registe e sceneggiatrici che hanno trovato la loro voce a Hollywood?

Penso sia addirittura tardiva, si è fatta attendere troppo tempo. Se ripensi al cinema di 20, ma anche solo 10 anni fa, era pieno di personaggi maschili e poi, in secondo piano, c’era la ragazza. Non ci sono molti esempi di personaggi femminili ben scritti. Ora per fortuna la televisione e lo streaming propongono molte più di queste voci. Nell’epoca d’oro di Hollywood nei ’30 e ’40 c’erano splendidi film che si reggevano sulle spalle delle attrici, ma la maggioranza, tutti gli altri, erano uomini. Penso che questa nuova tendenza sia una buona cosa. 

C’è un attore o un’attrice con cui desideri lavorare in futuro?

Ce ne sono così tanti. Mi piacerebbe lavorare con Adam Driver, è un attore fantastico. È bello vedere anche attori così di talento, ma poco conosciuti, riuscire invece a diventare così popolari e a ricevere così tante opportunità. Penso che Phoebe Waller-Bridge sia geniale, è piena di progetti personali, ma vorrei fare qualcosa con lei. Ho rivisto da poco Lola corre. Franka Potente è magnifica, mi piacerebbe lavorare con lei.

A proposito di Phoebe Waller-Bridger e dell’umorismo: ci puoi svelare come sei arrivato alla scena della macchina di Manchester by the Sea? Il modo in cui inserisci l’umorismo in un momento drammatico è così armonioso con il film! I due personaggi stanno dialogando. Si fermano. Non si ricordano dove hanno parcheggiato l’automobile. La cercano per lunghi minuti al freddo e la loro relazione cambia. Così divertente e così toccante!

Va di pari passo con la scena. Quando sono agitato, arrabbiato o distratto mi capita di dimenticare le chiavi o chiudermi fuori da qualcosa. Si è così distratti dalla situazione che ci si dimentica le altre cose. Era naturale in quel momento: il ragazzo (Patrick) continua a chiedere, sommerge di domande Lee. Vuole sapere cosa gli succederà, chi si prenderà cura di lui. La situazione è troppo emotiva per il personaggio di Casey Affleck.

Pensano di tutto, sono così concentrati l’uno sull’altro che non hanno visto dove si trovano. Mi è capitato molte volte di essere in una situazione simile: sei così sconvolto da quello che accade nella tua vita che ti dimentichi le cose. È naturale.

In Margaret c’è un ritratto della giovinezza e dell’adolescenza molto realistica. Lisa Cohen reagisce a quello che le succede proprio come farebbe una teenager. Spesso invece vediamo nei film delle versioni stereotipate di questa età complessa…

Nei film americani c’è sempre una forte pressione nel rendere interessanti i personaggi e arrivare presto al punto. I personaggi giovani devono mostrare di essere fighi, far vedere quanto si divertono, c’è sempre qualcuno più sensibile e altri più cattivi. È facile cadere nei cliché. Ad esempio ci sono sempre le scene di sesso tra teenager, le prime volte… io non me la ricordo così!

Per come l’ho vissuta io spesso è imbarazzante e alla fine nessuno è soddisfatto. Basta poco e le cose vanno storte. È così per gli adulti, ma ancora di più per i giovani alle prime esperienze. Sono tipi di film diversi se stai scrivendo una commedia o una fiaba o una storia con teenager. Tutto sembra fantastico. Ma non è quello che mi è successo a quell’età, ma forse è accaduto ad altre persone (ride).

… Come in Manchester by the Sea dove la madre bussa ogni cinque minuti alla porta dei due giovani appartati…

Esatto! I film tendono a comprimere l’azione in poco tempo e saltano queste parti, ma per me sono proprio quelle che creano l’emozione. Se un personaggio deve incontrare la propria ragazza per capire se è incinta ed è 10 minuti in ritardo lei sarà arrabbiata e lui lo sarà con se stesso. È un dettaglio che rende una situazione drammatica. Gran parte della vita è fatta di questi dettagli e credo che abbiano un grande valore narrativo.

In passato hai detto che Incontri ravvicinati del terzo tipo è uno dei tuoi film preferiti. La fantascienza è un genere molto distante da quello che è il tuo cinema. Ti piacerebbe in futuro scrivere o dirigere un film sci-fi?

Mi piacerebbe moltissimo fare un film di fantascienza. Quando avevo 15 anni scrivevo solo storie sci-fi. Penso che oggi ci sia bisogno di nuovi modi per fare la fantascienza. Oggi è polarizzata tra i film tratti dai fumetti e gli horror. Mi piacciono i cinecomic, meno gli horror. Non sono contro, è solo che mi spavento troppo e non riesco a guardarli.

So che è una domanda strana, visto il tuo stile narrativo, ma gireresti mai un film di supereroi?

Non saprei, ho provato a vederli e ogni tanto ne trovo qualcuno che mi piace molto. Ma spesso mi infastidiscono. Nei fumetti tutti indossano costumi coloratissimi e bellissimi, blu, rossi, gialli, ma nei film sono tutti di pelle nera! Gli Avengers sono più colorati, ma anche loro man mano che vanno avanti diventano sempre più scuri, sempre più neri.

I cinecomics mi danno fastidio perché i protagonisti piangono tutto il tempo, sono sempre in lacrime… Per me i supereroi non dovrebbero piangere così tanto, solo un poco. Però mi piace il Superman con Christopher Reeve, il primo Avengers, mi piace il secondo Thor  [probabilmente, seguendo il ragionamento, si riferisce al terzo, più luminoso e colorato, N.d.R]. Ho un sacco di scatoloni con i fumetti a casa, ma credo che il genere sia un po’ freddo e meccanico.

Non per insultare la mia patria, ma l’identità americana è tutta sul crescere e imparare. I dialoghi in questi film assecondano l’americanismo: “Devi imparare chi sei tu prima di dire agli altri chi sono! Non fare quello che devi fare, fai quello che è giusto per te! Non essere l’ideale altrui!”. Se non dovessi scrivere queste cose sarei felice di fare un cinecomic. Credo che dovrebbero solo volare e picchiarsi l’un l’altro e smetterla di piangere cosi tanto.

Classifiche consigliate