Romain Quirot compie il suo esordio alla regia di un lungometraggio con L’ultimo giorno sulla Terra e ha affidato nuovamente, dopo il corto alla base del progetto, il ruolo del protagonista all’attore Hugo Becker.

Il film, presentato in anteprima al Trieste Science+Fiction Festival 2022, arriva oggi nelle sale italiana e racconta quello che accade quando, in un futuro non troppo lontano, la temperatura del pianeta terra è aumentata a dismisura, molte specie si sono estinte e centinaia di persone sono diventate rifugiati climatici. Un nuovo pianeta è apparso in cielo ed è in rotta di collisione con la terra. Solo un uomo può salvare il mondo, il suo nome è Paul W.R., tuttavia, a poche ore dell’inizio della missione l’astronauta è scomparso. Da allora tutti lo cercano e Paul dovrà fare i conti con un incontro inaspettato, che potrebbe cambiargli la vita, con il passato e con il difficile rapporto che lo lega al padre e al fratello.

Hugo Becker, durante il festival triestino, ci ha raccontato qualche dettaglio del lavoro compiuto prima di arrivare sul set e della collaborazione con Quirot.

In che modo ti sei preparato per il ruolo? Considerando l’atmosfera della storia, hai usato come fonte di ispirazione altre opere come fumetti o videogiochi? Non molte perché volevamo creare qualcosa di nuovo. Ovviamente si tratta di un’opera prima e si cresce con molti riferimenti di quel tipo. Penso che il regista abbia reso omaggio ad altri filmmaker di tutto il mondo. Ci sono quindi delle cose a cui ci si ispira, ma voleva inoltre realizzare qualcosa di totalmente nuovo, aggiungere qualcosa di poetico al film, e questo penso sia un elemento non comune in un film sci-fi. Per quanto riguarda il personaggio si è trattato di lavorare con il regista e la mia co-protagonista per circa un mese e mezzo, due, prima delle riprese. Sapevamo che non avremmo avuto molto tempo sul set, quindi abbiamo dovuto provare molto ed entrare nella mentalità giusta. Ho preparato qualcosa da solo e poi abbiamo collaborato per capire come si sarebbe comportato il personaggio e chi sarebbe stato. Per certi aspetti ci siamo ispirati ad altri, ma principalmente abbiamo fatto molte prove e abbiamo trovato qualcosa di diverso, qualcosa di speciale. Alle volte la differenza era nel tono della voce e nel modo in cui si guardava l’altro personaggio, come si sorrideva o reagiva, qualcosa che permetteva di creare il protagonista e il suo passato, come ad esempio cosa gli era accaduto durante l’infanzia, perché è in questo modo e come si poteva renderlo credibile per gli spettatori. Forse ha ragione, forse è pazzo, non lo sappiamo realmente. C’era qualcosa di misterioso in lui e per farlo bisogna essere davvero attenti alle informazioni che si stanno dando mentre stai recitando perché il rischio è di condividere troppo. Penso sia quello il motivo per cui Romain fosse davvero attento e anche io volevo realmente creare quell’alone di mistero.

Il rapporto che si forma tra Elma e Paul è davvero speciale, come hai lavorato con Lya Oussadit-Lessert? Lei è meravigliosa ed era il suo primo film! Quel legam, ovviamente ricorda Leon, come hanno detto alcuni spettatori e giornalisti. Il film è però davvero diverso ed è stato un vero piacere lavorare con lei perché ha questo approccio fresco a tutti gli aspetti del lavoro sul set. Ha portato sul set dell’energia e un’atmosfera positiva. Elma, per il mio personaggio, ha un ruolo importante ed è quella che gli fa capire la direzione giusta da prendere. Era quindi essenziale trovare qualcuno che avesse un’enorme energia positiva, un approccio nuovo e fosse un simbolo di speranza.

Avevi già lavorato insieme a Romain Quirot, in che modo si è sviluppata la vostra collaborazione? Ci siamo odiati fin dall’inizio! Ovviamente scherzo. Abbiamo girato il corto alla base del progetto prima del film ed è stato un enorme successo per lui ma, nonostante l’accoglienza ricevuta, è stato davvero difficile trovare i finanziamenti per realizzare il film. Ci sono voluti tre anni, durante i quali abbiamo lottato insieme, e abbiamo trovato anche uno sceneggiatore che potesse lavorare allo script. Abbiamo fatto di tutto per poter realizzare questo progetto. Siamo stati davvero vicini e abbiamo avuto un rapporto molto forte. Anche ora che sta lavorando al suo secondo film e io avrà il ruolo del cattivo in quel progetto. Non è stato affatto complesso lavorare con lui. Mi sono innamorato dell’universo che ha creato, della sua visione e del modo in cui permette di avere molte possibili interpretazioni del film. Penso sia riuscito a rendere semplice quello che era difficile e a permettere di avere molte interpretazioni del film e, ovviamente, ha proposto molti elementi che sono una metafora della società contemporanea. Non voglio anticipare nulla, ma ho sempre voluto che le persone guardassero e avessero la propria interpretazione, specialmente in questo film che ha un lato poetico. Se lo si guarda una seconda, o una terza volta, si può avere un’altra prospettiva sulla storia, sul protagonista e su cosa sia esattamente la luna rossa. Si può pensare alla similitudine con la madre e al rapporto tra i due fratelli. Credo che la prima volta che lo si vede si possa semplicemente notare il primo strato della storia e la complessità del rapporto tra i due fratelli all’interno alla famiglia. Forse si può notare altro, come le due visioni del mondo in opposizione. Un altro strato della storia potrebbe essere sul chi si vuole diventare, che tipo di persona si diventa, si potrebbe pensare che siano due lati della stessa persona… Ho realmente apprezzato tutte queste cose nella sceneggiatura e nel suo approccio al film.

The Last Journey

La colonna sonora è davvero importante nel film. Avevate idea durante le riprese dell’atmosfera che avrebbe avuto la musica? Siamo stati fortunati perché il compositore aveva lavorato in anticipo e in più avevamo le musiche del cortometraggio che avevamo girato. Quindi sì, la ascoltavo continuamente: di notte, nel deserto, mentre lavoravamo alla sceneggiatura e ci preparavamo, e anche durante le riprese di alcune scene. Alle volte facevo partire la musica immediatamente prima dei ciak e sono stato fortunato perché era quella che sarebbe poi stata usata nel film. Poterlo fare è stato davvero fantastico.

Lavori molto per la televisione e L’ultimo giorno sulla Terra è il tuo primo film da protagonista, ti sei preparato in modo diverso rispetto a una serie in cui hai più tempo per sviluppare il tuo personaggio o il lavoro prima di arrivare sul set è stato lo stesso? In parte dipende dal budget. Sono venuto qui in Italia per girare la serie Leonardo e aveva un budget enorme, si aveva il tempo per lavorare e tutto veniva preparato in modo attento. Sono stato abbastanza fortunato da lavorare in progetti con budget sostanziosi, quindi non è stato complicato. Non mi sono trovato in situazioni in cui pensi ‘Non abbiamo tempo, non sappiamo cosa stiamo facendo e riceviamo lo script la mattina stessa’. Non ho mai lavorato in un progetto simile, almeno negli ultimi anni, e all’inizio della mia carriera per fortuna non ho mai provato questa situazione. In un progetto come questo film è vero che si deve lavorare più vicino al regista e agli altri attori. Lo si può fare anche in ogni altro progetto, dipende da ciò che si vuole. Io di solito lavoro molto prima delle riprese. La vera differenza, penso, fosse che si trattava dell’opera prima del regista ed era il mio primo film da protagonista, quindi era davvero importante per noi perché lascia, in un certo senso, l’impronta di quello che si fa, volevamo che avesse un significato per noi. In più c’era la tematica dei problemi ambientali che è qualcosa che attualmente ha degli effetti su tutti noi ed è stato uno dei motivi per cui è stato importante girare questo film. Le differenze sul modo di lavorare sono legate più che altro alle persone e al soggetto. Quello che, ovviamente, è stato grandioso in questo progetto è che abbiamo girato tutto nella vita reale, nel deserto, non abbiamo usato lo schermo verde. Si è trattata della scelta del regista creare gli effetti visivi in un secondo momento e ha aiutato molto per quanto riguarda la recitazione perché ti trovi realmente nello spazio e non devi immaginare tutto.

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