Si è tenuta martedì sera su Twitch una nuova puntata di Alògrafia: la monografia di questa settimana di Francesco Alò era dedicata a George A. Romero, e durante la serata vi sono stati contributi di Federico Frusciante e di Paolo Zelati. Proprio Paolo Zelati, durante la sua chiaccherata con Alò, ha parlato dello sviluppo di Twilight of the Dead, film annunciato qualche settimana fa e da lui scritto assieme a Romero poco prima che morisse. Trascriviamo qui lo stralcio della conversazione avuta durante la monografia, fino al passaggio in cui Zelati parla di chi vedrebbe lui come regista della pellicola.

Ricordiamo che la scelta verrà affidata a Suzanne Romero, vedova del grande regista.

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Romero come concetto non morirà mai, ma sarà possibile che qualcuno possa proseguire? Cosa può essere romeriano?

Ci tengo a dire queste cose perché voglio che passi in maniera più legittima possibile. Insomma è chiaro che quando si è sparsa la notizia di Twilight of the Dead, quello che è l’ultimo capitolo della saga di zombi che ho scritto con Giorge e che abbiamo scritto, abbiamo creato insieme durante una settimana di vacanza in Florida dalla quale se ti ricordi ti ho anche telefonato per informarti dei germi di queste cose qua… Stavo scrivendo con lui, ed era veramente la persona più felice del mondo. Il mio merito quello di averlo stimolato e di avergli tirato fuori quello che era già in latenza. Una sera, eravamo dopo cena, stavamo fumando un sigaro… Alla mattina e dopo cena infatti stavamo davanti alla televisione a guardarci i classici del cinema americano, e dovete sapere che George tutte le volte che vedeva determinati film piangeva, anche se li aveva visti 650 volte. Mi ha fatto vedere per la prima volta I migliori anni della nostra vita, che non avevo mai visto, e alla fine siamo finiti tutti a piangere. Abbiamo visto Il tesoro della Sierra Madre, lo avevamo entrambi già visto ma alla fine avevamo entrambi i lacrimoni.Una sera mettiamo su Mezzogiorno di fuoco, e gli dico: George stavolta non piangi, lo sai a memoria! E lui: no no, assolutamente. Guardiamo il film, Suzanne a un certo punto andava a letto perché vedevamo tre o quattro film di fila…  Partono i titoli di coda, mi giro e George aveva le lacrime.

Allora, in questa atmosfera una sera lo guardo e gli dico: George, a me Survival of the Dead non è piaciuto. Ha delle belle intuizioni, è carino ma onestamente non mi dice molto. Lui mi fa: sono d’accordo con te. E io: anche perché sai, il discorso è che i tuoi film di zombi hanno sempre dei richiami a un contesto sociale attuale e che raccontano il passare del tempo. E lui: appunto, erano passati solo sei mesi da Diary of the dead mi hanno chiesto di fare questo e io non avevo molto da dire. Non lo ha detto solo a me eh. E allora gli ho detto: noi fan vogliamo sapere come si è conclusa questa storia. Per esempio, io ho dei problemi enormi con Land of the Dead. L’ho visto 60 volte, ma alla fine quando gli zombi capitanati da Big Daddy prendono il ponte… voglio sapere dove vanno! L’ho immaginato mille volte! George si toglie gli occhiali, non me lo dimenticherò mai, e mi dice: dimmi te dove vanno. Io gliel’ho detto, erano le nove e mezzo di sera, abbiamo cominciato a parlare fino all’una del mattino e poi per quattro giorni di fila non abbiamo fatto altro che parlare di quello che è diventato Twilight of the Dead, e più parlavamo più George si rendeva conto sempre più – glielo si vedeva negli occhi – che il cerchio non era chiuso, e che lui ce l’aveva dentro quella chiusura. Andava solo un attimo stimolato, e io sarò felice per tutta la vita di averlo fatto.

Quindi, praticamente, la mattina si alzava, dopo colazione veniva da me, mi batteva la mano sulla spalla e mi diceva “ho l’impressione che abbiamo davvero qualcosa di grande per le mani”. A me si apriva il cuore, cominciavamo a parlare, ci confrontavamo… In quattro giorni avevamo già il cuore della storia: l’inizio ma soprattutto la fine, che era fondamentale. Era la cosa che lui già da subito aveva colto. Tornati dalla Florida abbiamo continuato a lavorare sulla stesura del soggetto. Eravamo contenti, era un soggetto di 30, 40 pagine dettagliatissimo che conteneva tutto. George poi avrebbe scritto la sceneggiatura, perché come sapete i suoi film sono tutti “George Romero’s”, sono firmati da lui. Mi ricorderò sempre che una volta mi disse: non ti devi preoccupare della burocrazia, mi strinse la mano e mi disse che “su questa cosa io e te fifty fifty”, e giù una grande risata. Scriviamo questo trattamento. George è veramente contento, ve lo posso dire non è un segreto: per due anni ho cercato di parlare con Guillermo del Toro perché ho pensato che lui come padrino ci potesse proteggere molto, produrre eccetera. In realtà, ultimamente è venuto fuori che George prima di morire aveva chiamato Del Toro per raccontargli di questa cosa, e lui era felicissimo. Poi ha cominciato a star male, non ci siamo sentiti per un po, lui mi ha mandato le prime pagine. Grazie a Dio, perché sennò sarebbe stato difficile eguagliarlo in questa scelta, e quindi quando è morto a me è crollato il mondo addosso. Uno perché perdevo un amico, uno dei più grandi amici. Poi perché questa cosa era una cosa veramente importante, era una fiaba, la chiusura di un cerchio. E per me senza George non ci sarebbe stato alcun film. Dopo sei mesi di appiattimento emotivo ho parlato Suzanne, le ho detto: io voglio che la gente sappia come lui voleva chiudere la saga, farò un libro, diamo tutto in beneficenza alla struttura dove era ricoverato George, per la ricerca sul cancro. Avremmo coinvolto gli amici, Tom Savini e gli altri, per scrivere dei saggi mentre Suzanne avrebbe dovuto scrivere l’introduzione. Io scrivo, in qualche mese, questo libro in cui c’era il soggetto al centro e due capitoli in cui io anticipavo la situazione e spiegavo dettagliatamente, scena per scena, quello che George avrebbe voluto fare. Poi quando Suzanne l’ha letto, mi ha telefonato e mi ha detto: guarda, la storia è tua, se vuoi fare il libro puoi fare il libro ma secondo me è troppo bello e dovremmo fare il film, perché era l’ultima cosa che George voleva fare, lo considerava il suo testamento, e quindi dovremmo cercare di farlo. Al che ho detto: va bene, però io devo essere colui che scrive la sceneggiatura perché solo io so ciò che voleva. Mettere un soggetto seppur bello nelle mani di qualcun altro, no. Suzanne ha detto di sì, a patto che potesse seguirci passo passo il che mi sembra legittimo. Anzi, noi stessi volevamo lei insieme a noi, proprio perché è l’unica persona di cui mi fidavo. Quindi chiamo il mio amico Joe Knetter e il mio amico Robert L. Lucas e vado a Los Angeles, in un mese e mezzo, grazie a quel genio di Joe che ha creato una struttura in maniera eccezionale. Abbiamo creato uno script che secondo me George avrebbe amato moltissimo, abbiamo lavorato per un altro anno con Suzanne per migliorarlo, per fare delle revisioni, anche se poi il succo era era già stato fatto. Abbiamo ottenuto dei voti altissimi da una azienda Hollywoodiana che fa script rating, con dei giudizi assolutamente mirabolanti, e adesso siamo fuori. Quello che io voglio che sia chiaro è che questo è un film al 100% di George Romoero. Ovviamente è chiaro che, in una situazione di questo tipo, con l’amore che c’era per George, con un fanbase così numeroso, è ovvio che ci sarà una polarizzazione tra chi dirà che fa schifo a prescindere. Questo non lo nego: lo scontro fa bene. Ma non voglio leggere cose tipo “milking of the dead” e cose del genere. Può piacere o non piacere. Però questo è un film al 100% di George Andrew Romero. Non c’è niente di più e niente di meno. Per cui, fondamentalmente, quello che ci serve è un regista e una produzione che rispetti l’eredità di Romero. Questo è tutto quello che noi vogliamo, non fare un film con gente che vuole usare il nome di George e distruggere il suo lavoro. Questo non lo farei al 100%. Abbiamo la possibilità di fare qualcosa di clamoroso

Hai delle idee per la regia?

Mi piacerebbe poterti rispondere ancora adesso non c’è niente di concreto. La notizia è uscita pubblicamente da non più di tre settimane, ci sono ci sono stati dei contatti, delle cose, molto interesse come immaginavo ma in questo momento non saprei cosa dirti.

Pensi possa essere più un giovane regista o un regista veterano della generazione di George?

Io credo che possano andar bene entrambi. Anche se è chiaro che sicuramente un regista di mestiere potrebbe essere più a suo agio. Deve riuscire ad approcciarsi con la leggerezza e l’amore con cui io mi sono approcciato a scrivere una sceneggiatura al posto suo, il che ovviamente è follia… Però voglio dire: o si fa o non si fa. Quindi chi si approccia si approccia con questo spirito. Un regista che secondo me dovrebbe mettere il suo stile al servizio della storia di George, senza cercare di copiare George, perché sennò sarebbe una tragedia.

Fammi un nome di uno dei “grandi” che potrebbe farlo.

Guarda, posso fare un discorso personale. A me piacerebbe Edgar Wright. Perché oltre a essere stato un amico di George e ad avere un grande rispetto per il suo lavoro e sicuramente per la sua memoria, è una persona che secondo me può avere la sensibilità giusta. Poi non voglio spendere in altri in altri nomi perché questo l’ho fatto tutte le ragioni che ho detto. Gli unici due film di zombi che piacevano a George erano Juan of the Dead (il cubano) e Shaun of the Dead – L’alba dei morti dementi di Edgar Wright. Loro erano amici, hanno discusso molte volte, come sai lui e Simon Pegg hanno preso parte con un cammeo… hanno un legame eccezionale… Secondo me poi Edgar oggi ha una visibilità e un’importanza che non guasta. Però lo ripeto: qui lo dico e qui lo nego, adesso stiamo aspettando, e sentiamo cosa mi racconta la signora Susanne. Jordan Peele invece assolutamente no, perché non lo sopporto…

 

 

 

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