Il trentanovenne texano David Gordon Green chiude la Trilogia del Texas iniziata qui lo scorso anno con Joe presentando in Concorso Manglehorn, un altro maschio texano che riflette su lavoro e vita personale. Lo abbiamo incontrato per parlare del film, di lui, del futuro e della sua idea di cinema.
Perché l’omaggio a Blow Up nel finale?
Non era in sceneggiatura! La scena con il mimo ce la siamo inventata sul set perché non sapevamo come chiudere il film e visto che il mimo aveva funzionato molto bene in una scena precedente ho pensato che potesse portare qualcosa di magico alla chiusa.

Come è andata con Pacino?
Abbiamo scritto il film per lui con Paul Logan. L’avevo incontrato in privato e mi aveva molto colpito. Terminato quell’incontro gli dissi che l’avrei ricontattato qualche anno dopo, gli avrei consegnato una sceneggiatura e avremmo fatto un film insieme. Lui mi rispose: “Certo, certo ragazzo, ok”. Giusto un anno dopo l’ho fatto. Sono andato a casa sua e abbiamo letto la sceneggiatura insieme a voce alta, cambiato qualcosa ed è tutto venuto fuori molto bene.

Harmony Korine nel ruolo del mezzo pappone libanese fan del personaggio scorbutico di Pacino è fantastico. Come è venuto fuori?
Ero a un incontro su Spring Breakers ad Austin in Texas perché Harmony mi aveva invitato. Ci vado, vedo Harmony che introduce il film e penso: “Questo è il personaggio di Gary!”. Harmony è stato entusiasta all’idea di recitare vicino a Pacino e l’unica preoccupazione che aveva era di non ricordare bene le battute. Mi chiese di improvvisare e io gli risposi: “Ma tanto tutto il film sarà improvvisato Harmony!”. Mi ha fatto ridere ogni singolo giorno delle riprese. Penso che rubi lo show anche ad Al qualche volta.

Come hai trovato l’equilibrio tra commedia e dramma?
Solo in sala di montaggio. Potevamo farlo tutto integralmente come una commedia per quanto materiale comico avevamo girato. Al montaggio abbiamo aggiustato tutto. Volevo senso dell’umorismo e senso della realtà. Volevo anche creare cose divertenti per me che potessero anche non essere divertenti per il pubblico. A volte mi piace provocare gli spettatori. Anche Prince Avalanche era così.

La citazione da Scarface… perché?
Non me la ricordo… ma c’è?

Sì, sì, c’è. Al Pacino dice poco prima di uscire dalla banca: “The World is Yours”…
Fantastico. Non ci posso credere… non l’ho notata.

Perché tutte queste citazioni che comprendono anche La dolce vita e Week-End di Godard?
Perché adoro i film e ho voluto metterli un po’ alla rinfusa.

Joe, Prince Avalanche, Manglehorn. E’ una Trilogia del Texas di fatto conclusa?
Penso di sì. Quando sarò vecchio riuscirò ad essere anche più analitico e capire perché l’ho fatta. Adesso so solo che probabilmente è un trittico. Oggi come oggi mi sento molto più rilassato come cineasta. Lungo tutti i primi sette film da regista ero molto nervoso e alla ricerca del giusto riconoscimento. Adesso sono più tranquillo e rilassato e voglio godermi i 39 anni di vita che domani non avrò più. Non tutti i film devono essere perfetti. Non tutti i film devono essere dei blockbuster. Ho già raggiunto buoni risultati e ho voluto fare tre film in due anni che penso abbiano un senso cinematografico.

Non hai rimpianti?
Solo d’amore, non professionali. (A bassa voce ma lo sentiamo benissimo, N.d.R.) Spero proprio che “lei” veda il film.

Come hai preso Holly Hunter?
E’ stato un suggerimento di Al Pacino. Lei è la vita del film. E’ il risveglio di un uomo che dormiva. La sua vita e la sua casa sono piene di vita, amore e ottimismo. Holly è proprio così. Nella serie tv Top of the Lake è fantastica e starà nel prossimo Batman vs Superman. Potrei citarle a memoria Arizona Junior per quanto la ammiro.

Che tipo di Al Pacino volevi nel film?
Quieto. C’è la scena dell’autolavaggio che è emblematica da questo punto di vista. Io volevo avere il Pacino quieto de Lo Spaventapasseri e Panico a Needle Park. La scena dell’autolavaggio è fondamentale ed è un omaggio a Lo spaventapasseri.

C’è una linea comune in questi tre uomini della tua Trilogia del Texas?
Sono persone della classe media, da cui io provengo, che lavorano e mentre lavorano riflettono sulla loro vita e sulle loro relazioni umane. Probabilmente sono una metafora della mia situazione attuale di genitore e uomo ormai prossimo alla piena maturità. Forse sono anche un rimpianto perché in un certo senso mi manca quel senso del possesso di una professionalità che avevo quando da giovane ho fato i mestieri più vari e assurdi. Sono tre uomini che posseggono una perizia artigianale. Io ora sono un regista e il regista è un lavoro etereo perché si tratta di coordinare persone che posseggono una perizia artigianale che io non posseggo più. Probabilmente questa Trilogia affronta la mia connessione e distanza con il tema del mondo del lavoro manuale.

Il personaggio di Pacino è ricco di misteri. Hai mai pensato di spiegarne qualcuno in più?
Se ci pensi… è la prima volta in un film che Al Pacino ha un orecchino. L’orecchino indossato da Angelo Manglehorn è un grande mistero. E’ vero… abbiamo deciso di puntare di più su delle storie mitologiche raccontate da Gary e dal figlio SU Angelo Manglehorn piuttosto che svelarle oggettivamente noi allo spettatore. Ci sembrava più giusto così. Sono diventato ossessionato dal mistero e allora ho esagerat con il mistero. Avevamo pensato a delle spiegazioni… e facevano tutte abbastanza schifo credimi!

Sei anche un po’ sadico con lo spettatore David…
Ma a volte è meglio così. Io vivo nel quartiere dove ho girato il film e c’è un tizio molto educato e gioviale quando lo incontri che appena ti giri… entra in casa e si barrica completamente. Mi incuriosisce e spesso penso: “Cosa ci sarà dentro quella casa?”. Probabilmente la rabbia di Angelo Manglehorn doveva rimanere ancora più oscura e oggi toglierei addirittura qualcosa di più rispetto a quello che c’è. Toglierei ancora più certezze allo spettatore.

Come va il progetto di remake da Suspiria?
Suspiria è fermo a cinque anni fa. La mia versione del film è molto costosa e probabilmente qualcuno proporrà una versione più economica del film e lo farà prima di me.

Altri progetti?
Il prossimo mese comincio a girare Our Brand Is Crisis. Lo sto finendo di preparare. Avrò Sandra Bullock protagonista e George Clooney come produttore esecutivo. E’ un film sui consulenti politici americani in Bolivia e penso che sarà un buon film. E’ il mio primo film guidato interamente da una donna. La situazione politica in Bolivia vista dal punto di vista del personaggio di Sandra.

Cosa è cambiato nello scenario indipendente da quando hai cominciato?
Devi fare dei film più carini adesso, dove tutti sorridono. Un tempo potevi essere più provocatore. I miei film vano bene in Europa, con la tv o il video on demand. Ho trovato la mia nicchia. Il cambiamento maggiore è la qualità del prodotto televisivo. La televisione è ora quello che prima era il cinema indipendente. E’ molto più difficile portare un buon prodotto su grande schermo.

Qual è il tuo metodo?
Trovare un modello finanziario ragionevole che mi permetta di non farmi rompere le palle da nessuno. Quando ho detto che volevo girare in Bolivia tutti mi hanno detto che ero completamente pazzo. Mi è bastato aggiungere: “Ragazzi, penso che ci sarà Sandra Bullock come protagonista e tutti improvvisamente… mi hanno detto che era ok e che si poteva fare”. Il segreto è inserire una star dentro un progetto che può sembrare stravagante e tutto monta velocemente. Non è importante l’astrusità o non commerciabilità di un progetto. Se c’è una star attaccata… è fatta.

A quale collega più anziano ti ispiri David? Ormai sembri il nuovo Steven Soderbergh…
Proprio lui è il modello! Ho appena finito di collaborare con lui a un pilota televisivo e posso dirti che abbiamo avuto una conversazione molto interessante sui registi che cercano sempre la perfezione. Sia io che lui… non li capiamo proprio. Hai presente Kubrick? Io non sono così e non lo sarò mai. Quello era veramente troppo geniale per i miei standard. Con Steven condividiamo questa idea dell’errore, del lavoro, del momentum e non della perfezione. Per me c’è una fisicità nel mettere in piedi dei progetti, nel lavorare, che mi eccita e quindi penso come Soderbergh che l’importante sia andare avanti e lavorare, lavorare, lavorare. Come Danny Boyle o Michael Winterbottom. Con Soderbergh condivido la voglia di sperimentare sempre qualcosa di nuovo, sfidando i nostri limiti di cineasti di cineasti.

Ok ma prenditi una vacanza David ogni tanto…
Il mio lavoro è una vacanza. Credimi: mi sembra sempre di stare in ferie.