All’interno del kolossal Everest, i personaggi interpretati da Emily Watson e John Hawkes sono tra i più drammatici dell’intera pellicola. La Watson è Helen Wilton, assistente storica dello scalatore Rob Hall interpretato da Jason Clarke. Helen era la camp manager e ascoltò impotente via radio il climax tragico della spedizione. Hawkes interpreta nel film Doug Hansen, alpinista amatoriale morto durante la spedizione. Everest ha aperto la 72esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia e questo è il resoconto del nostro incontro con Emily Watson e John Hawkes. Il film uscirà nelle nostre sale il 24 settembre.

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Mrs. Watson lei non ha recitato mai come il resto del cast ad alta quota, vero?
Sì. Le mie scene sono praticamente tutte ambientate al campo base ricostruito per l’occasione negli studi di Cinecittà, a Roma. I miei colleghi sono stati molto coraggiosi. Io decisamente di meno…

Le sarebbe piaciuto recitare una parte tra gli scalatori?
No, non penso. Non mi sono sentita sminuita affatto dal dover interpretare Helen Wilton e non mi dispiace essere stata: “La donna che rimane al campo base in attesa degli uomini”. La Walton era un personaggio chiave della spedizione. Lei era essenziale al lavoro di Rob Hall. Aveva già quattro figli all’epoca, viveva in Nuova Zelanda e non poteva certo andare a scalare l’Everest come niente fosse. Conosceva il suo lavoro e Rob sapeva che poteva sempre contare su di lei come organizzatrice.

Ha parlato con la Wilton?
Sì, tanto… via Skype. Ognuno ha il suo punto di vista su una vicenda che è stata raccontata da libri e documentari. Helen è rimasta in silenzio per tanti anni. Ho molto apprezzato questa sua discrezione.

Lei ha sentito le registrazioni vere tra la Wilton e Rob Hall ricostruite nel film?
Sì. E’ stato incredibile. Ascoltare la voce di Helen in quella situazione così specifica mi ha aiutato a capire come interpretare il personaggio.

Mr. Hawkes… Josh Brolin ci ha detto che lei non voleva fare il film perché era spaventato dalla montagna. E’ vero?
No, non è vero. E’ un gioco tra noi del cast ed è un tormentone di Josh. Sono stato coinvolto nel progetto tra i primi del cast, tanti anni fa. Sono sempre stato entusiasta della storia e della possibilità di girarlo in montagna. Purtroppo negli ultimi anni ho avuto dei piccoli ripensamenti per quanto riguarda il progetto solo per via di alcuni problemi privati. Ma alla fine ce l’ho fatta.

Il suo personaggio è pare una presenza atipica in mezzo a quei virili scalatori…
Doug è un ruolo eccezionale. Era un uomo dolce e gentile.

Ma è vero che lei si è trovato benissimo in montagna? Che è stato uno dei più disinvolti ad alta quota nonostante una totale mancanza di preparazione?
Sì. Mi sono allenato molto in Colorado e sono arrivato preparato durante le riprese. Non credete alle battute di Josh Brolin nei miei confronti!

Qual fu la motivazione di Doug secondo lei?
La storia dei bambini è vera, per cui lui doveva tornare in America e comunicare a quei bambini che ce l’aveva fatta. Quel momento di dialogo del film in cui lui spiega questa motivazione… è estremamente accurato e corretto. Aggiungerei anche la sua curiosità riguardo una saluta fisica che evidentemente voleva mettere alla prova. Doug aveva subito un’operazione l’anno precedente la scalata.

Cosa pensa del momento in cui Doug spinge Rob Hall a portarlo in cima causando in un certo senso la loro drammatica fine?
Ero molto nervoso prima di girare quella scena perché sapevo che sarebbe stata una scena decisiva. La sceneggiatura è cambiata molto spesso. Eravamo molto preoccupati dalla verosimiglianza e dal rispetto dei fatti… ma il regista Baltasar Kormákur alla fine ci ha detto di provare a raggiungere un nostro punto di vista perché tanto non avremmo mai potuto sapere con precisione cosa si dissero in quel preciso istante Doug e Rob.

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