Non capita raramente che un film inizi perché due attrici si somigliano e ad un regista venga voglia di sfruttare la cosa. Invece è stato così per La Quietud come ci ha raccontato lo stesso Pablo Trapero. Martina Gusman e Berenice Bejo erano a Cannes con Trapero e venivano prese in giro per la somiglianza e scherzando lui disse di volergli far interpretare due sorelle. Solo qualche tempo dopo, proprio al festival di Venezia quando Trapero venne con Il Clan, gli fece una proposta formale.

Nasce così il film che ora è Fuori Concorso alla Mostra, da questa esigenza e da quella di realizzare un “ritratto di famiglia che completasse Il Clan. Perché benché diverso ci sono le medesime connessioni, è la stessa famiglia con strati di violenza e suspense. Cambia che questo è un matriarcato e non un patriarcato”.

Ovviamente c’è anche in comune il background storico…

“Sì certo ed era presente fin dall’inizio, il fatto di come questi proprietari terrieri siano parte della storia del paese e come il passato si relazioni alla trama. Ma non andiamo a fondo, raccontiamo solo quel che devi sapere per il film, per il resto c’è Google”.

Hai fratelli o sorelle?

“Sì ho una sorella più giovane ma non somiglia alla famiglia del film, insomma non è la mia. Quel che mi piace del concetto di famiglia è che non la scegli e dovrai comunque conviverci mentre cresci, per questo è una grande sorgente di dramma. Puoi decidere di non avere un’amica ma non puoi decidere di non avere un padre, puoi non vederli ma li avrai comunque. Mi interessa come la famiglia ci formi”.

Sei il tipo che fa diversi ciak per ottenere la scena come la vuole?

“Sono molto preciso e mi piace improvvisare, faccio anche 15 ciak oppure uno solo, alle volte preferisco chiedere agli attori di entrare nella scena senza molti elementi altre volte mi serve che dicano esattamente le battute come sono scritte, alle volte mentre faccio il film imparo cose sui personaggi e sulla storia, altre volte so già tutto. È quello che mi piace del fare cinema: non ci sono due ciak uguali, non sei mai nella stessa situazione due volte, nemmeno nella stessa scena. Tu sei il primo spettatore del film che cambia sotto i tuoi occhi, non importa quante volte tu l’abbia provato ti sfuggirà sempre”.

Come avete lavorate alla scena iniziale che ha a che vedere con le sorelle e il sesso?

“Ho dovuto imparare molto sull’intimità di questi personaggi ma davvero non è diverso dal clan, anche lì il personaggio era lontano da me e quella è la grande sfida per un regista, imparare ad amare i propri personaggi. Magari non li ameresti nella realtà ma li ami per il film, li devi capire. In questo caso poi provare sarebbe stato inutile, perché quando poi sei sul set e giri con tutte le luci e il trucco è un’altra cosa, è troppo diverso. Ammiro molto il lavoro degli attori e penso che serva il loro impegno per rendere vere le scene, perché in sé sono solo idee e ipotesi, una scena o una sceneggiatura non è un romanzo, non esiste senza immagini e non sai se è buona fino a che non la giri”.

Hai mai pensato che sarebbe stato difficile far capire agli spettatori il rapporto tra le due, convincerli che non è assurdo che possano volersi così bene nonostante tutto?

“Nulla nei film è facile, tutto è un incubo, se ti serve il sole piove, se vuoi una scena d’amore con un attore quello perde la moglie, non importa quanti soldi hai, nulla è facile, la cosa importante è quanto lo rendi semplice per gli attori e il team. Soprattutto non devi mai essere rilassato, per fare il salto dall’altra parte serve un misto di semplicità e tensione, mantenere un senso di rischio e comfort insieme. Speravo che il pubblico capisse questo dettaglio e questa relazione particolare, così simbiotica, una dimensione d’amore vasta, molto più ampia dell’amore tra sorelle o tra partner, una che implica parecchia resilienza.
In fondo loro sono due survivor di quell’ambiente”.

C’è un po’ di Buñuel in queste dinamiche interne tra benestanti che si massacrano?

“È un film molto influenzato da Buñuel, non mi stanco mai di vedere i suoi film. In questo in particolare c’è un po’ il suo surrealismo, ci sono solo 5 persone che si massacrano in una casa come L’Angelo Sterminatore, un dramma con il senso dell’assurdo. Pensa che la lunga scena di notte a cena in cui iniziano a comportarsi in modi surreali l’abbiamo chiamata tra di noi la “scena angelo sterminatore”, ma c’è anche molto Fellini e Scola. Ci ho messo anche un po’ di Hitchcock nella relazione al posto, come il luogo influisca sulla storia”.

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