A cura di Jacopo Iovannitti

In occasione nella 15esima edizione della View Conference abbiamo avuto la possibilità di intervistare Alvy Ray Smith, co-fondatore dei Pixar Animation Studios. L’intervista si è svolta poco prima del suo intervento nel panel “Dai Pixel alla Pixar, e Oltre” nel quale ha illustrato il modo in cui la computer grafica si è evoluta da una semplice rappresentazione grafica a 8bit nel prodotto completo ma non perfetto che oggi possiamo ammirare, per esempio, nei film degli studi Pixar.

Tanti anni fa hai deciso di trasferirti dal centro Xerox PARC al NYIT per compiere studi sul colore con Ed Catmull, da grande appasionato dell’animazione. Avresti mai immaginato di poter rivoluzionare a tal punto questo campo e co-fondare i Pixar Animation Studios?

No, non ne avevo assolutamente idea, per me era solo un divertimento. Ero un appassionato di animazione e non un uomo d’affari. Io ero un artista, avevo ricevuto borse di studio in campo artistico. È accaduto e basta. Non me lo aspettavo e non ce lo aspettavamo. Siamo stati quasi costretti a fondare la compagnia per andare avanti. Non c’era nulla di premeditato.

E cosa ti aspetti dal futuro dei Pixar Animation Studios?

Tutte le persone con cui ho iniziato a lavorare, in questo momento, o sono in pensione o non vedono l’ora di esserlo. Prima eravamo 38 artisti nella divisione grafica. Adesso sono tutti in pensione. Non c’è quasi più nessuno. Questo mi preoccupa, perché credo che possa perdersi un po’ il carattere e l’identità della Pixar e dei suoi personaggi, proprio per via di questo “ricambio”. Credo anche però, e spero, che John Lasseter, che è il più giovane e che lavora tutt’ora, continui a mantener viva la “scintilla culturale” della Pixar originale.

Cosa ti ha spinto a studiare Computer Grafica?

Ero un artista ed ero bravo in matematica. Ho cercato di mettere queste due cose insieme. Le ho unite. Anche se c’è voluta una gamba rotta, perchè dopo essermi laurato a Stanford ero rimasto lì a insegnare Informatica. Mi son rotto questa gamba sciando e quindi son stato fermo per dei mesi. In questo modo, e in questo lasso di tempo, ho potuto pensare a cosa stavo facendo nella mia vita. E ho capito che quella dell’insegnamento era una strada sbagliata. Non facevo Arte insegnando. Così sono andato in California, dove tutto è possibile, e ho colto questa occasione.

Com’è stata la sua esperienza in LucasFilm?

Ho sempre pensato che sarebbe stata la Disney a supportare la Pixar, ma non è mai successo. Così è arrivato George Lucas che però non aveva capito che noi volevamo realizzare lungometraggi e non solo programmi per fare animazione. Lui non l’aveva capito, e per questo motivo si è creata una situazione imbarazzante che è durata un po’ di tempo, ma ci ha comunque sempre seguiti e finanziati. Poi c’è la stata la svolta del lavoro fatto per il sequel di Star Trek.

Che consiglio daresti ai giovani che si vogliono cimentare in questo campo?

Il cosiglio è semplice: andate dove accadono le cose. Andate dove c’è l’azione! Io ho dovuto cambiare lato del continente per farlo! Specializzatevi e rendetevi disponibili dove c’è l’azione, il movimento, la voglia di fare.

Qual era il tuo rapporto con Steve Jobs?

Il rapporto con Steve Jobs è stato una tortura. Alla Pixar non esisteva una gerarchia, come non esiste oggi, nè posizioni professionali. Le decisioni si prendevano insieme, si discuteva. Steve Jobs, invece, ragionava secondo lo schema padrone-schiavo. Io ho sempre lottato contro questo tipo di imposizione finchè un giorno non ebbi un litigio pazzesco con lui. Per questo motivo sono andato via.

Come immagini il futuro della Computer Grafica? Torneresti a lavorarci sopra?

Bella domanda. Al momento sono in pensione e non mi occupo di film. Sto scrivendo un libro e questo è il mio lavoro. Per il futuro solo vedo un’accurata rappresentazione degli esseri umani, soprattutto del viso. Senza però mai sostituirli totalmente… semplicemente nell’apparenza.