La recensione di A Human Position, su MUBI dal 30 gennaio

A Human Position pende dalle parti del cinema contemplativo, quello votato all’idea di film come esperienza più che come mezzo narrativo per raccontare una storia. Questo si capisce fin da subito guardando le prime inquadrature, un susseguirsi di piani fissi (più o meno larghi, ravvicinati o decentrati rispetto ai soggetti) che il regista e sceneggiatore Anders Emblem usa per tutta la durata del film mentre osserva la vita quieta e apparentemente pacifica che circonda Asta (Amalie Ibsen Jensen) e la sua routine durante un’estate norvegese.

Più che di ricerca visiva, ad ogni modo, Anders Emblem si preoccupa di lavorare sul connubio tra immagini e atmosfere: né pura sperimentazione, né puro racconto, A Human Position in fin dei conti è uno strano esperimento narrativo (di finzione, al centro c’è una micro storia) che tuttavia pur stuzzicando da una parte e dall’altra non soddisfa mai pienamente.

Il piccolo nocciolo di storia di <...