La recensione di Butcher’s Crossing, presentato alla Festa del Cinema di Roma

Di usare il western e le sue atmosfere per parlare di ambientalismo e colonialismo americano l’aveva già fatto Iñárritu con Revenant: lo fa anche Butcher’s Crossing di Gabe Polsky, in maniera piuttosto diversa (e diciamolo, molto meno convincente) adattando l’omonimo libro di John Williams del 1960. Diverso perché in Butcher’s Crossing c’è sì il senso dell’avventura, della scoperta della natura selvaggia, ma questa natura pur essendo anche qui ostile è comunque una frontiera naturale che impedisce ai personaggi un desiderato ritorno al caldo delle loro case, della civiltà. Una trappola, non un luogo dove ritrovarsi. Niente di sbagliato in sé, se non che Butcher’s Crossing si rivela poi un film dall’intento diverso, prettamente storico, poiché nel parlare della caccia ai bisonti intende svelare le ironiche insidie del capitalismo americano.

Siamo nel 1874. La storia è quella di Will Andrews (Fred Hech...