Concrete Cowboy, la recensione

Ci mette tanta buona volontà Ricky Staub, sceneggiatore insieme a Dan Walser e regista esordiente di Concrete Cowboy, nel raccontare la storia della comunità cowboy afroamericana di Filadelfia: una realtà ormai letteralmente coperta dal cemento (concrete), di cui Staub prova a trasmettere il grido d’aiuto e soprattutto la grande volontà di sopravvivenza. Lo fa usando come attori la vera gente del posto; lo fa dipingendo con tenerezza i suoi personaggi, smussandone ogni tipo di imperfezione. Lo fa ribadendo a ogni occasione il suo messaggio: cowboy è uno stato d’animo, e anche se i luoghi scompaiono la tradizione vive nella memoria.

Se il messaggio passa, gridato, in modo inequivocabile, l’impressione è però che Staub, preoccupato di farcelo arrivare, si sia soprattutto dimenticato di lavorare anche con la macchina da presa. Visivamente anonimo e svogliato, Concrete Cowboy sembra fare di tutto per guadagnarsi l’etichetta di generico “dramma sociale indipen...