Danzante e sognante su note celestiali, la macchina da presa di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh fluttua attorno al sedicenne Youri (Alseni Bathily) descrivendone il centro di gravità: lui che si chiama come il primo cosmonauta è infatti l’ultimo baluardo di testarda resistenza – irremovibile dal suo appartamento-navicella – ai demolitori che stanno per buttare giù il complesso abitativo dove ha sempre vissuto, Cité Gagarine. In un viaggio metaforico ai confini di un doloroso cambiamento (Youri non ha nessun altro posto, né geografico né umano, da chiamare casa), Gagarine tenta di trasformare questa allusione in delicata poesia, affievolendosi però dopo poco nella ripetizione estenuata della metafora.
Il pur poetico parallelismo (strutturale, ma anche visivo) tra spazi vitali – quello della navicella e quello della casa che non si riesce ad abbandonare, oltre la quale c’è solo una spaventosa oscurità – è infatti c...
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