La recensione di Il pataffio, in sala dal 18 agosto, presentato a Locarno 75

C’è subito qualcosa di familiare in Il pataffio, film tratto dall’omonimo racconto di Luigi Malerba: è la stessa atmosfera creata da Age e Scarpelli per il personaggio di Brancaleone (e gli zoom ad entrare e uscire richiamano vagamente lo stile di messa in scena dell’epoca), cioè un medioevo italiano cialtrone e straccione, fatto di abiti laceri, animali stanchi, vanagloria, natura selvaggia, capigliature eccentriche e soprattutto di una lingua tutta sua. La storia non è però quella di un condottiero da 4 soldi ma di un nobile da 4 soldi, un poveraccio diventato signore sposando una nobile, che gli ha fruttato un titolo mai sentito e un castello in rovina in una terra in cui non cresce niente, abitata da villani così miseri da non aver nemmeno troppo timore dell’autorità.

Dopo un film di incredibile sensibilità come Quasi Natale, Francesco Lagi torna alla commedia (con cui aveva iniziato) ma la verve è ai min...