La recensione della nuova versione di La casa, nelle sale dal 20 aprile

Quando nel 2013 Fede Alvarez ha rifatto La casa ha creato un nuovo standard. Poco attinente agli originali di Raimi, se non per lo spunto, e un passo avanti al solito quanto a invasione dell’inferno in Terra. Quella versione di La casa era davvero un film di evocazione con niente di ironico e tutto di terribile. Visivamente l’apoteosi dell’horror demoniaco. Ora questo nuovo film che in teoria niente ha a che vedere con quello di Fede Alvarez, riprende la storia per quella che si capisce sarà una nuova serie di film (ammesso che il primo vada come deve andare) e la riprende proprio con quel tono lì.

Inizia tutto in una casetta nel bosco vicino al lago, in omaggio all’originale, ma è in realtà un flashforward, il vero film si svolge in città. Stavolta la casa è un condominio, un palazzo mezzo disabitato e fatiscente in uno dei cui appartamenti vive una famiglia: madre tatuatrice, zia groupie e accordatrice di chitarre, figlio aspirante DJ, figlia attivista contro i cambiamenti climatici. La scelta delle tipologie umane già è interessante, questo non è un nucleo di stereotipata innocenza a cui si contrappone il male ma una famiglia con i suoi problemi. Nello scantinato del palazzo viene trovato una specie di sarcofago con il Necronomicon-ex mortis dentro e come nella miglior tradizione di La casa, vengono pronunciate parole che non andrebbero pronunciate e così si aprono le porte del nostro mondo a demoni intenzionati ad impadronirsi delle persone che hanno a tiro.

Lee Cronin è al secondo lungometraggio ma ha un grandissimo controllo dell’immagine. Non solo la scenografia di questo palazzo fatiscente è eccezionale ma anche tutto i comparti di casting, trucco e parrucco lavorano benissimo e coordinati per prima scegliere poi truccare volti non per forza ordinari in demoni al tempo stesso riconoscibili e originali. Questa è la base da cui parte il film, il punto di arrivo invece è una delle visioni di invasione demoniaca migliori dell’annata. Una sul cui percorso è possibile trovare pezzi di storia dell’horror vecchi e nuovi, dal bicchiere mangiato di Oculus, all’ascensore pieno di sangue di Shining e moltissime soluzioni, angolature e stacchi di montaggio dello stile di Raimi.

A deludere semmai è la scrittura. Ci sono due madri e il film è convinto che proprio questo dettaglio, i rapporti madre/figlio e la maternità più in grande, abbiano un grandissimo senso. Solo che non riesce mai a darglielo. È evidente che La casa – Il risveglio del male vuole rispettare alcune regole di scrittura del cinema dell’orrore anche se non ci crede fino in fondo. La cosa sarebbe una sofferenza se il film poi non avesse quella capacità superiore alla media che possiede di tenere alto il tono infernale, di creare un’atmosfera per niente allucinata e anzi molto terrena, in cui i demoni e il sangue sembrano quasi parte dell’arredamento di androni, ascensori e interni nei quali a regnare è la distruzione progressiva degli esseri umani. Distruzione prima di tutto fisica ma lentamente anche spirituale. Un finale impeccabile lascia un buon sapore in bocca.

Classifiche consigliate