“Cosa dovremmo sapere di un artista? Cosa dovrebbe rivelare di se stesso e perché dovrebbe essere importante per noi?” Il dilemma enunciato verso la fine di La mia vita con John F. Donovan riassume al meglio il paradosso dell’ultimo film di Xavier Dolan, giunto a trent’anni al proprio settimo lungometraggio, esordio in lingua inglese il cui cast stellare non è bastato a stemperare le aspre critiche da parte della stampa americana. Il contrasto interno risiede nella scelta di costruire un ritratto intimista che privilegia l’aspetto privato dei suoi protagonisti, lasciando che l’eco mediatica delle loro vicende svolga il ruolo di ovattato rumore di fondo. Scelta se non altro peculiare, dal momento che proprio nella reazione del mondo esterno identifichiamo l’origine delle crepe del microcosmo sentimentale dei due personaggi principali. Dolan attinge da sempre alla propria biografia, e vi torna qui – dopo la parentesi teatralizzante di È sol...