La padrina, la recensione

Isabelle Huppert fa tutto. La sua carriera partita con il cinema arthouse più audace (quel che ha fatto con Haneke è da applausi per il coraggio) è poi sfociata anche in quello commerciale. Ora è capace di andare nelle foreste per Brillante Mendoza e poi diventare una spacciatrice di droga in La padrina, film leggero a cui solo la sua presenza permette di essere anche ponderoso. È il suo corpo la cosa più interessante di tutte. Non ci sono dubbi.
La storia è convenzionale, quella di una donna borghese annoiata e con pochi stimoli nella vita che fa un lavoro a contatto con il crimine, è traduttrice dall’arabo per la polizia, sempre impiegata nelle retate, negli interrogatori o nelle intercettazioni. Ha la fiducia del capo della polizia, che è anche un suo forse spasimante, tuttavia per una serie di intrecci capisce di stare traducendo le parole e le azioni del figlio della badante di sua madre. Escogita con lei un piano per impedire alla polizia di arrestarlo e...