Non c’è niente in La vita davanti a sé che faccia qualcosa per asciugare un racconto molto datato. La storia di madame Rosa, scritta da Romain Gary nel 1975 nell’omonimo romanzo, è una di sopravvissuti all’Olocausto, un melodramma tra una signora anziana e un bambino a tinte fortissime che non risparmia colpi bassi ma che nasceva in un’epoca in cui ancora questo tipo di racconti facevano parte della dieta culturale popolare.

Il film di Edoardo Ponti (il secondo tratto da quel romanzo, il terzo con sua madre protagonista su 7 totali, corti inclusi) è più o meno sulla stessa linea d’onda, un viaggio indietro nel tempo a un’altra epoca che non ha nessun fascino vintage né alcuna consapevolezza di essere retrodatato rispetto al presente.

In sé, ovviamente, non ci sarebbe nulla di male. Non ci sarebbe cioè nulla di male in un film che recuperi un testo che viene da un’altra epoca della narrativa e riporti nel presente qualcosa che il cinema ha smesso di fare da tempo, peraltro con un’interp...