Soderbergh sta arrivando per gradi a mantenere la promessa di lasciare il cinema fatta da lui stesso innumerevoli volte. Prima si è spostato su una serie tv, ora per il sequel del suo Magic Mike ha fatto quasi tutto, tranne dirigere. Forse l’unico caso al mondo di regista e grande autore che si declassa a parte della troupe. Con i soliti pseudonimi ha diretto la fotografia, ha montato e infine ha prodotto, la regia l’ha lasciata a Gregory Jacobson, suo storico regista di seconda unità.

Non è difficile capire come il prodotto finito sia un finto film di Soderbergh, la sorpresa è però che questa declinazione di Soderbergh (ne ha il look, ne ha il ritmo e ne ha lo spunto) sia migliore del film precedente, meno esitante, meno fasulla, più estrema e decisa.

Il punto di Magic Mike, fin dal film precedente, non è mai stato raccontare il mondo degli spogliarelli maschili quanto raccontare di un essere umano che vive a partire dal corpo, un corpo chiaramente esagerato (non solo gros...