La recensione di Mindcage, al cinema dal 7 giugno

Con tutto il bene del mondo: è davvero impossibile prendere sul serio Martin Lawrance (volto della commedia americana) che con una sorta di paresi facciale e lo sguardo imbruttito veste i panni di Jake Doyle, un poliziotto traumatizzato da un vecchio caso. Co-protagonista di Mindcage di Mauro Borrelli, insieme alla collega e neo-detective Mary (Melissa Roxburgh) Lawrence è al centro di un poliziesco dalle ambizioni dark ed esoteriche che è talmente mal scritto, mal diretto e mal recitato da sembrare più che altro una parodia del genere.

Il caso che i due colleghi devono affrontare è quello di un serial killer che uccide prostitute per poi trasformarle in statue rinascimentali (che, tra l’altro, sono l’unica cosa esteticamente appagante del film). Essendo questo modus operandi identico a quello di “L’artista” (John Malkovich), che Jake aveva sbattuto in prigione anni prima, Mary decide di mettersi in contatto con questo per farsi aiutar...