C’è uno scontro molto forte in Non mi uccidere tra la scrittura e l’immagine, tra la storia che viene raccontata (ma anche la mitologia che viene imbastita) e invece tutto quello che film dice con l’impianto visivo. È uno scontro che non fa bene per niente al film e che rivela le tensioni forti che lo pervadono, le intenzioni e le ambizioni diverse che lo animano. Da una parte c’è l’omonimo romanzo di Chiara Palazzolo (uscito nel 2005, stesso anno in cui usciva il primo romanzo di Twilight, con cui ha in comune l’approccio emo fortemente romantico a una tradizione horror) e dall’altra c’è Andrea De Sica, che già con I figli della notte, nell’ambito diverso del cinema da festival, aveva dimostrato una certa passione per le illuminazioni particolari, uso dei colori e in generale delle immagini come forma di scrittura.

La storia di Non mi uccidere è quella di Mirta che torna dalla morte senza sapere perché, scopre di essere una sopramorta, cioè un essere morto che deve cibarsi di persone ...