Red Rocket, la recensione | Cannes74

Sean Baker parte dai luoghi.

Parte da un quartiere di Los Angeles o parte da una serie di condomini nella Florida accanto a Disneyworld, e poi da lì comincia a filmare l’umanità che ci vive dentro. Non è un procedimento diverso da quello dei documentari di Gianfranco Rosi, anche se porta a risultati diversissimi. I film di Sean Baker sono materia underground a cui lui riesce a dare una spallata indie classica per creare un ibrido nuovo. È l’unico, ad oggi, capace di flirtare con le regole del cinema mainstream, prendendone sempre le distanze come fa l’indie statunitense, ma senza perdere quella qualità elettrica e brutale del cinema realizzato ai margini dell’industria.

Red Rocket è una storia che nasce e vive intorno ad una raffineria nel Texas, case e casette di legno di una comunità che vive ai margini di quello stabilimento anche quando non ha niente a che fare con esso. Lì arriva un porno attore senza più niente, costretto a strisciare in ginoc...