Non ha cambiato praticamente nulla Paolo Genovese dalla serie tv che ha adattato in film, The Booth At The End. C’è un uomo in un diner che da noi è un bar che sembra un diner americano, che con un grosso librone assegna compiti più o meno abietti a persone che vengono da lui chiedendo di esaudire dei desideri (“Voglio essere più bella”, “Voglio che mio marito guarisca dall’Alzheimer”, “Voglio fare pace con mio figlio”) e tutto il cuore del racconto sono le maniere in cui questi malcapitati raccontano i progressi che stanno facendo nel portare a termine operazioni come costruire una bomba e far saltare in aria un locale, violentare una donna, farsi mettere incinta, rubare dei soldi…

Genovese sembra aver capito subito qual è il punto di questo spunto, il fatto cioè che in questo film esistano almeno altri 6 film di genere diverso che hanno luogo solo nella nostra testa tramite i racconti dei protagonisti. Senza mai uscire da quel bar sentiamo raccontare di come qualcuno abbia cercato se...