Room
di Lenny Abrahamson
3 marzo 2016
C’è di nuovo un trucco in un film di Abrahamson. Dopo la grande maschera di Frank, elemento accattivante di un film molto meno concreto di quel che non promettesse, in Room, se ne vede uno raramente praticato dal cinema americano: un’illusione prospettica. Crediamo di vedere un film inusuale in realtà ne stiamo vedendo uno abbastanza tradizionale ma da un punto di vista che ce lo fa sembrare strano.
La struttura del film è smontata, invece che partire dalla normalità di una vita, interromperla con un problema o un evento traumatico e poi chiudersi con un climax che porti verso il ritorno alla normalità, iniziamo da metà siamo dentro una situazione problematica e molto poco “normale” che non sappiamo da dove sia originata. Verso metà film questa si risolverà rocambolescamente e tutta la seconda parte sarà centrata sul difficile ritorno alla normalità. Come se avesse messo quella che tutti gli altri film considerano la necessaria “prima parte” in coda agli eventi, Lenny Abrahamso...
Basato su un acuto trucco di sceneggiatura, Room come già Frank attira con la sua particolarità ma poi consegna un film molto più tradizionale di quel che si aspetti
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