La nostra recensione di Saint Omer di Alice Diop, in concorso al 79° Festival di Venezia

Ahi, scellerata, di ferro, di roccia / sei, che i tuoi figli, i tuoi stessi germogli / con la tua mano di vita li togli? Così Euripide, quasi duemilacinquecento anni fa, faceva inveire il suo coro contro Medea, spietata madre assassina che, con l’uccisione dei due figlioletti, vendicava l’abbandono del marito Giasone. Una figura gigantesca, resa immortale non solo dal grande tragico greco, ma dalle successive opere di Seneca, Ovidio, Corneille e innumerevoli altri.

Oggi è Alice Diop a dare una’ interpretazione tutta personale del mito, nel suo esordio al cinema di finzione Saint Omer. La vicenda è stravolta e modernizzata, ma le somiglianze con il mito saltano all’occhio; davanti a una giuria che è coro silente e a un pubblico che è riflesso dell’occhio dello spettatore, si svolge il processo all’enigmatica Laurence Coly (Guslagie Malanda), rea confessa dell’omicidio della figlia di quindici mesi...