Perché Lou Ye ha voluto raccontare questa storia in Saturday Fiction, presentato in Concorso al Festival di Venezia? Cosa ci ha visto nella versione romanzata di ciò che avvenuto nel 1941 a Shanghai e che ha cambiato il volto della seconda guerra mondiale? Non si capisce, ed è il problema principale del film.
Questo cineasta che è stato capace anche in tempi recenti di exploit bellissimi (Love Bruises) che come molti conterranei ha raccontato i cambiamenti del suo paese ma che l’ha fatto con un occhio unico e personale, attaccato a sesso, volti e ambienti (Summer Palace), ora affronta uno snodo mondiale ma con toni che non gli appartengono. Lui che è il tipico cineasta cinese della sesta generazione (la stessa di Jia Zhangke), tutta macchina a mano senza fronzoli e storie urbane, girate per strada e nelle case, con questo intrigo in costume patinato e sofisticato davvero non ha nulla a che vedere.
Ci sono ovviamente dei grandi sentimenti in ballo, perché l’attrice protagonista (interpr...
Fuori dalla sua comfort zone Lou Ye confeziona un film spento. Saturday Fiction è una cocente delusione
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