The Accusation, la recensione | Venezia 78

Una storia in cui nessuno si comporta in modi irreprensibili, in cui entrambi i coinvolti di quello che diventerà un processo mentono, sbagliano e tentano con furbizia di tutelarsi, rende molto difficile per lo spettatore parteggiare. Che è bene. Ma non lo è tanto se al centro c’è un’accusa di stupro. The Accusation infatti scrive una storia di finzione apposta perché sia ingarbugliata e tiri in ballo questioni complesse, in modo che non sia facile dare tutti i torti o tutte le ragioni e schierarsi sia spinoso. Che è bene. Ma non tanto se stiamo parlando di un’accusa di stupro.

L’obiettivo di Attal è fare Asghar Farhadi, cioè presentare una storia in cui lo spettatore fatichi a piazzare le proprie pedine e a sposare un punto di vista. E lo vorrebbe fare proprio come Farhadi cioè usando il fuori campo, ciò che è successo prima degli eventi narrati o fuori dalla nostra visione, per creare una zona nera che non conosciamo e per la quale dobbiamo ...