Fatih Akin è uno dei migliori registi europei, padroneggia tutti i registri e le tecniche che nei suoi momenti migliori mette a all’opera in storie e su personaggi dalla vitalità incontenibile (sia nel bene che nel male), pure macchine d’istinto, che come fossero fatti di vetro non riescono a nascondere niente o forzarsi in alcuna repressione degli istinti e delle volontà. Con The Cut aggiunge al suo campionario di capacità registiche anche il grande affresco storico ma nel farlo letteralmente vende la propria anima. Come fosse stato rimpiazzato da un alieno di L’invasione degli ultracorpi dirige un filmone grande e grosso senza nessuna personalità, che già dalla lingua usata (un fastidiosissimo e falso inglese ecumenico in bocca a fabbri armeni dei primi del novecento) tradisce la volontà di perdere individualità ed acquistare benevolenza presso il pubblico più ampio possibile.

Nella più classica delle storie di diaspora personale e odissea per il ricongiungimento un...