Non sono le parole il forte di Zhao Liang, i pochissimi interventi della voce fuoricampo in Behemoth lo ribadiscono. Oltre a dare qualche linea interpretativa che ricalca l’inferno dantesco ma con un finale che nega il paradiso e lo sublima paradossalmente in un altro inferno, non più caldo e mortuario ma silenzioso e funereo, il regista riempie il film di una poesia spicciola. Invece le immagini che monta con una cura maniacale fanno il contrario, a colpi di sobrietà suscitano associazioni realmente poetiche, a colpi di bellezza e composizione cromatica lavorano in profondità per costruire nella testa di chi guarda il vero inferno.

Ci sono delle cave in cui si estrae il carbone nella regione cinese della Mongolia interna, sono l’inferno dell’ecologia perchè là dove c’erano colline verdi ora c’è solo il grigio della terra ricca di carbone rivoltata, sono l’inferno degli uomini che ci lavorano, coperti di fumo e con i polmoni pieni di polveri e sono a...