Quando il cinema racconta le pandemie lo fa seguendo almeno una delle due vocazioni principali del genere. La prima è quella di mostrare le reazioni della società di fronte all’imminente catastrofe. Come quindi la “macchina” organizzativa delle città si metta in moto per combattere un nemico spesso invisibile. Altre volte zombificato. Il secondo – e preponderante – elemento di fascino sono le persone. Il che si declina nella domanda: cosa succede alla psiche individuale quando viene messa di fronte all’apocalisse? Come reagiamo alla concreta possibilità di morire qui e ora? C’è chi si chiude in sé, chi cerca la propria famiglia, chi diventa un mostro desideroso solo di salvare la propria pelle. Anche a costo di calpestare gli altri. 28 settimane dopo cerca di fare entrambe le cose: si concentra sulla società e sulle persone. Non fa satira, fa sociologia (spiccia) ma con una mentalità oramai troppo vecchia.
28 settimane dopo: ovvero quanto possono sembrare ingenui i film sui virus se visti durante una pandemia
28 settimane dopo è disponibile su Disney+ nella sezione Star
Vedere 28 settimane dopo durante una pandemia fa concentrare sui protocolli adottati e le reazioni della gente. E sembrano più che mai assurdi
- giovedì
- 16:00 BAD Week
- venerdì
- 14:30 BAD Comics
- 16:15 BAD Games: Fallout 3
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