Battleship va in onda questa sera alle 21:20 su Italia 1

Battleship, il film di Peter Berg datato 2012 che quest’anno ha compiuto dieci anni nell’indifferenza generale, costò circa 200 milioni di dollari e ne incassò “appena” 303. Un flop clamoroso che venne attribuito dapprima all’uscita, quello stesso anno, di The Avengers, poi alla “scarsa celebrità dei protagonisti”, una motivazione curiosa per un film che poteva fregiarsi di avere Rihanna nel cast in un ruolo relativamente importante. Dopo il flop, Battleship sparì completamente dai radar, e tornò a essere solo un gioco da tavolo; Peter Berg tornò a fare le cose che gli vengono meglio, Rihanna pure, e Taylor Kitsch si rimise in cerca di una carriera. Dieci anni dopo, con alle spalle una valanga di franchise di ogni genere e grado, ci sentiamo di affermare che quanto successo nel 2012 è increscioso, e che Battleship si sarebbe meritato un franchise tutto suo.

Cominciamo dalle basi: Battleship è un progetto che avrebbe dovuto avere almeno un paio di sequel per il semplice fatto che esiste. Il 2012 era un periodo d’oro per le idee balzane: tutto sembrava possibile, persino l’idea di prendere Battaglia navale, il classico gioco da tavolo nel quale bisogna associare una lettera e un numero e sperare di sentirsi dire “colpito” e magari “affondato”, e trasformarla in un film. Già al tempo si erano spesi fiumi di inchiostro reale e digitale per commentare l’assurdità dell’idea; si scherzava su quale potesse essere il prossimo passo, forse un film su Campo minato? (anche quello poi è successo davvero)

 

Battleship Colpito e affondato

 

Non sappiamo chi abbia pensato per la prima volta “abbiamo la licenza per Battaglia navale, dobbiamo assolutamente farne un film” ma siamo convinti che meriti un aumento, anche con un ritardo di dieci anni. Esattamente come Peter Berg e i fratelli Jon ed Erich Hoeber, autori della sceneggiatura, meritano un applauso e un affettuoso ricordo per aver accettato quella che, sulla carta, sembrava un’impresa impossibile. Il fatto stesso che Battleship esista è un gesto coraggioso, che non può andare sprecato nell’arco di un singolo film: uno spunto del genere va espanso e approfondito almeno in una trilogia, è l’Arte stessa che lo richiede.

Ancora più coraggiosa e degna di nota è l’idea di metterci gli alieni. Battaglia navale è un gioco di ispirazione bellica terrestre, che non ha bisogno di astronavi per funzionare: è una simulazione ipersemplificata di una, ehm, battaglia navale, e ha bisogno quindi di portaerei, incrociatori e altri simili nomi di veicoli nautici per funzionare. Gli alieni sono un di più non richiesto, non necessario e per questo doppiamente gradito. Perché limitarsi a fare un film di navi che sparano ad altre navi quando puoi fare un film di navi che sparano ad astronavi? È la rule of cool nella sua forma più cristallina.

 

Battleship alieno

 

E fateci poi fare un applauso al colpo di genio che ha permesso di integrare la struttura da board game di Battaglia navale con la trama vera e propria di Battleship, che è un film molto più intelligente (o inutilmente intricato, se preferite) di quello che possa sembrare. Battleship si svolge quasi interamente all’interno di una cupola protettiva eretta dagli alieni invasori e che permette di rinchiudere Taylor Kitsch e la sua ciurma in uno spazio limitato nella più classica tradizione dei film navali. L’altra direttrice, quella che dà ad Alex Hopper e di rimando a noi spettatori una motivazione per voler sconfiggere gli alieni, coinvolge la fidanzata di Alex, Samantha (Brooklyn Decker), intrappolata sull’isola dove si trova l’antenna che ha trasmesso al satellite il messaggio che è stato mandato nello spazio dove ha raggiunto il pianeta dal quale arrivano gli alieni invasori che per due soldi mio padre comprò.

Battleship è quindi un film che parla tantissimo di comunicazioni, messaggi, dati raccolti dalle fonti più disparate. Tra cui la rete di boe gestite dalla NOAA che misurano il moto ondoso, e che l’equipaggio della nave John Paul Jones (ci torniamo) usa per costruire una griglia all’interno della quale dedurre la posizione degli avversari per poi bombardare e gridare “F3! Colpito!”. È un metodo intricatissimo ma che, almeno a un’analisi superficiale, funziona, o almeno ha senso, e riesce, come dicevamo prima, a integrare il fatto che Battaglia navale sia un gioco che si gioca su una griglia alfanumerica con la realtà di quello che succede nel film – cioè una nave che, priva dei suoi soliti riferimenti, deve inventarsi altri modi per individuare gli avversari.

 

Broklyn

 

Per tornare a John Paul Jones, Battleship è anche un film che fa un grande uso della musica, in particolare quando si tratta di celebrare il lato bello della guerra, il cameratismo, le grandi manovre, l’eroismo, il morire per la patria. Sono tutti argomenti che affascinano Peter Berg da sempre, e per capire Battleship fino in fondo è necessario conoscere anche il resto dell’opera del suo autore. Rispetto ai vari The Kingdom o Lone Survivor, però, Battleship mette da parte il realismo per puntare sulla celebrazione sfacciata, e dunque anche per divertirsi un po’. Niente lo spiega meglio di questa scena

 

 

che è contemporaneamente 100% Peter Berg e il contrario di quello che Peter Berg fa di solito.

Nel suo essere tutto concentrato sull’azione, Battleship si lascia purtroppo indietro dei pezzi: mancano risposte in particolare sulla natura e le motivazioni degli alieni, senza contare il fatto che il finale non ci dà alcuna garanzia che l’invasione non possa ripetersi a breve. Tutto materiale per almeno due sequel, una serie TV e magari uno spin-off ispirato alla scena post-credits, una commedia sci-fi di stampo britannico diretta da Edgar Wright. Al tempo ci abbiamo sperato, e invece Battleship è affondato senza mai avere una seconda possibilità. Ve lo chiediamo con il cuore in mano: dateci un Battleshipverse!

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