C’è un filo conduttore nel cinema supereroistico al femminile ed è il controllo mentale. Jessica Jones deve sfuggire al controllo di Killgrave. Tramite un virus l’uomo riesce infatti a controllare la sua volontà. La sevizia per mesi fino a che il sistema immunitario della donna non sviluppa una difesa che la libera. In Wonder Woman 1984 basta la mente di Maxwell Lord per realizzare tutti i desideri. L’uomo dà, elargisce doni, concede la possibilità di una vita felice. È il sogno virile del cacciatore che, senza fatica, dà tutto a tutti. Toccherà a Diana Prince riportare la ragione nel mondo.

Captain Marvel: ovvero una donna, Carol Danvers, che cambia le sorti della guerra. Prima è usata come un oggetto dai regimi. I Kree le hanno cancellato la memoria per poterla scatenare come arma. L’hanno privata della sua identità. Solo quando capirà chi è veramente sarà in grado di rompere la catena che la lega al sistema di potere e scegliere indipendentemente da tutte le influenze. Il suo rialzarsi innesca una rivoluzione pacifica e totalmente femminile. 

In Black Widow il messaggio è ancora più forte, ma non è molto diverso. Le Vedove Nere sono le ragazze dimenticate, perdute nelle strade di ogni città. Rapite, private di ogni legame, addestrate per essere assassine e controllate mentalmente. “Dietro un grande uomo c’è una grande donna” afferma un’ odiosa massima. La storia di Black Widow la ribalta: gli uomini credono di detenere il potere, ma vicino a loro c’è un’agente infiltrata che ha accesso ad ogni informazione ed è pronta a ribaltare regimi. Donne oggetto che gli uomini non vedono, ma che tirano le fila del mondo al servizio però di un altro, ennesimo, cattivissimo maschio.

Il potere che lega le donne agli uomini (pochi) del film non è per nulla fisico (“sei debole”, dice Natasha), ma mentale.

Non poteva essere più esplicita di così la regista Cate Shortland e il messaggio non lo coglie solo chi non lo vuole sentire. Black Widow non è diverso dagli altri blockbuster al femminile. Non rivoluziona il discorso, non apre nuove interpretazioni. Prende tutto ciò che hanno detto gli altri e lo riassume meglio, lo butta davanti agli occhi senza pudore. Vuole essere giusta, chiara, e impossibile da fraintendere. E così facendo tira le orecchie a Hollywood (e quindi anche alla Marvel stessa).

Saremmo arrivate prima. Eravamo pronte da tempo – sembra dire – solo che credevamo a quello che ci dicevano. Ci siamo trattenute (noi registe e noi attrici) quando gli studios non approvavano i nostri pitch con la scusa che le donne al cinema non vendono. Abbiamo creduto che lo sguardo dominante fosse corretto, abbiamo acconsentito alla posizione in cui ci avete messo non per mancanza di coraggio di dire la nostra, ma perché non potevamo. 

Ora questo controllo mentale è rotto ed è un’azione che libera lo sguardo e le storie. Che crea solidarietà e distrugge le stanze segrete dove gli uomini potenti commettono orrori.

 

black widow victoria alonso

L’emancipazione del cinema dal maschilismo è però un fatto doloroso. “Rompere il nervo” non è una passeggiata: significa creare una crepa profonda nelle proprie ossa e nella propria mente. È scindere quel legame invisibile di dipendenza così antico, robusto e al contempo così sottile da non essere notato. 

Si sta molto criticando Black Widow per essere arrivato in ritardo di una decina di anni (anche se la sua perfetta collocazione logica sarebbe stata dopo Captain America: Civil War). Era da troppo che Scarlett Johansson era privata del suo film solista. Sì, l’attrice, ben più che il pubblico. Nelle molte interviste rilasciate alla stampa, tutti coloro che hanno partecipato a Black Widow hanno fatto trapelare l’idea di averlo fatto per lei. Persino la regista Cate Shortland ha detto – intervistata dal nostro Mirko D’Alessio – di essere contenta del film soprattutto perché è piaciuto a Scarlett Johansson. 

Non una captatio benevolentiae verso colei che è anche produttrice esecutiva del film, ma un riconoscimento dell’abile lavoro fatto in tutti questi anni. Sembra passata una vita da quell’Iron Man 2 fatto di pose (prese in giro in questo film) e inquadrature sexy. Non sono lontane invece (ma speriamo che lo diventino presto) le imbarazzanti domande sessiste dei giornalisti. Scarlett Johansson e Black Widow, a differenza della Wonder Woman di Gal Gadot, hanno attraversato due epoche cinematografiche (non solo Marvel) influenzandole in meglio per quanto riguarda la rappresentazione. L’attrice l’ha fatto intuendo il potenziale del personaggio. L’ha preso per mano e l’ha condotto fuori dall’anonimato di latex e curve. Le ha dato una personalità e una back story pazzesca, forse la più dolorosa di tutte. Ma che fatica che deve aver fatto!

La svolta -paradossale- fu proprio Avengers: Age of Ultron. Un film capace di toccare tutti gli estremi. Dalle imbarazzanti cadute tra le braccia di un eccitato Bruce Banner fino ai toccanti dialoghi sul sentirsi emarginati. Qui Natasha rivela di non poter avere figli. Svela che il suo passato la fa sentire un mostro. La spia, la Vedova Nera, si mostra nel suo essere donna.

Scarlett e la Marvel hanno fatto da qui un’opera di cesello: hanno tenuto le buone intuizioni e hanno tolto il resto. Quello che resta sono le fondamenta di Black Widow: il rimpianto, la famiglia, l’infanzia rubata.

La Black Widow presentata in Iron Man sembra una femme fatale mangia uomini. Invece Natasha Romanoff è sola, violentata, lontana da ogni affetto.

Come Taskmaster, Cate Shortland prende lo stile del cinema d’azione anni ’90 (dai Bourne ai Mission Impossible), ma non lo riadatta al femminile. Il solo fatto di usare quel linguaggio è un messaggio potentissimo: quelle inquadrature che per epoche intere abbiamo creduto appartenere ad un cinema con protagonisti e pubblico maschile (o a Kathryn Bigelow come eccezione che conferma la regola), sono in realtà un linguaggio di tutti. La grammatica di sempre dell’action non cambia, ma viene adottata da persone diverse.

C’è ancora tanto lavoro da fare, racconta il finale di Black Widow. Finalmente le Vedove Nere di tutto il mondo possono scrivere la propria storia. Ora che il legame di sudditanza è spezzato, ora che questo film è arrivato, non si può più tornare indietro.

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