In attesa dell’uscita di Creed 3, il primo film della saga di Rocky Balboa senza Sylvester Stallone, facciamo un ripasso dell’intero franchise. Siamo giunto all’ultimo episodio (forse): oggi parliamo di Creed II

Con Creed II si conclude questa lunga maratona in compagnia di Robert “Rocky” Balboa, e la nostra vita è già un po’ più vuota, e così speriamo della vostra – cioè, no, non ci auguriamo davvero che abbiate una vita vuota, solo che anche voi sentiate già la mancanza di una delle figure più straordinarie della storia del cinema americano, un personaggio di film che ha trasceso la sua condizione per diventare un simbolo e, in un certo senso, anche una persona vera. Creed II è l’ultimo film nel quale Sylvester Stallone compare nel proverbiale “ruolo che gli ha donato la fama”, e in quanto tale ha il difficile compito di fungere sia da addio a un’icona, sia da passaggio di consegne a un nuovo protagonista, in una saga che non muore mai ma si reincarna.

Stallone risolve il dilemma nell’unico modo che conosce: prendendo la situazione in mano, per un’ultima storica volta. Non arriva al triplo ruolo come in Rocky, ma come in Creed lascia la regia in mano a qualcun altro, più giovane e più in sincronia con il presente (in questo caso si tratta di Steven Caple Jr., che non ha il talento grezzo e feroce di Ryan Coogler ma ha un grande colpo d’occhio e un animo intimamente tamarro). Ma scrive tutto lui, oltre ovviamente a riempire ogni scena in cui compare con la sua presenza. Eppure riesce, con tutta l’umiltà che gli ha insegnato proprio Rocky, a non esagerare, a mantenere il giusto equilibrio tra vecchio e nuovo, a scrivere un film che è per la prima volta più su Adonis Creed che su Rocky Balboa – il modo migliore per passare il testimone a Michael B. Jordan e pensionare idealmente il personaggio.

Punnio

Come funzionava Rocky, e soprattutto i sequel di Rocky? Nel primo film incontravamo il personaggio in tutta la sua sfiga, e lo vedevamo risalire i gradini della scala sociale a suon di pugni e forza di volontà. Il secondo film ci presentava un campione alle prese con il peso del successo, il terzo… insomma, lo sapete, ne parliamo da mesi. Creed in questo senso nasceva già con l’handicap di classe: Adonis è cresciuto nella violenza e nella solitudine, ma non è povero, non è un reietto, non è (più) un perdente – è un personaggio con il quale è più difficile empatizzare, e che infatti aveva bisogno di Rocky che ce lo presentasse garantendoci che era un bravo ragazzo.

Creed II, in quanto sequel di Creed, funziona circa allo stesso modo. Donnie sta per diventare padre, ha una moglie di una bellezza spaziale dal talento sconfinato e dall’intelligenza sopraffina con la quale ha un’intesa invidiabile, ha una cintura di campione in vita ed è riuscito a uscire dall’ombra del padre. Donnie però è anche cresciuto (almeno da un certo punto della sua vita in avanti) in un ambiente diverso da quello di Rocky, ricco, privilegiato, protetto; e infatti la sua reazione alla sua prima grande vittoria è opposta a quella di Rocky in Rocky II: Creed sa come gestire la situazione, e sa come godersela. Narrativamente parlando il film è già in un vicolo cieco come si fa a far tornare la fame a uno che non solo ha ottenuto la fama, ma sa anche come tenerla sotto controllo?

Bianca

Come se fossimo ancora negli anni Ottanta, la risposta a questo dilemma arriva dal freddo, dall’est, dalla Russia. Ivan Drago è uno dei punti di svolta dell’intera saga, come raccontavamo già qui, ed è una delle figure che più hanno tormentato Adonis da quando ha scoperto di essere il figlio di Apollo. Ecco quindi che il motore di Creed II è esterno: Ivan ritorna dalle ombre in compagnia del figlio Viktor, deciso a farlo combattere contro Adonis nella speranza di replicare quanto successo trent’anni prima con Apollo, e di tornare così nelle grazie degli oligarchi russi che l’hanno esiliato dopo la sconfitta contro Rocky.

È una soluzione narrativa così anni Ottanta che solo a scriverla ci si sono cotonati i capelli, ed è perfetta per ricordarci che anche se il film si chiama Creed II stiamo ancora parlando di Rocky. Il privato che diventa pubblico, il passato che ritorna, la sfida di Adonis a sé stesso e ai propri fantasmi, i suoi dubbi che fanno eco a quelli di Rocky nei vecchi film… in Creed II Donnie continua a ripercorrere gli stessi sentieri battuti dal suo predecessore, opportunamente modificati e aggiornati al fatto che stiamo parlando di un film del 2018. E quindi c’è meno hair metal e più hip-hop, meno New Hollywood e più camera a mano semi-documentaristica, ci sono gli smartphone e i concerti elettropop invece dei telefoni a rotella e i negozi di animali… ma sotto la superficie, Creed II resta “un film di Rocky”, perfettamente in linea con il tono e soprattutto i messaggi del resto della saga.

MBJ

Rispetto a Creed, che affrontava tutto con un’espressione serissima e non sgarrava mai, questo sequel tende più spesso a esagerare e ad alzare il volume a undici – si veda solo l’immancabile training montage che a questo giro si svolge nel deserto in una palestra per pugili reietti –, con tanta voglia di usare ma con risultati non sempre ineccepibili. Ma ogni possibile considerazione negativa su questa o quella scena si scioglie come neve al sole di fronte all’intero terzo atto, e al finale in particolare. È qui che accettiamo definitivamente Adonis come nostro nuovo eroe, e lo facciamo nell’unico modo possibile: seduti a fianco di Rocky, in disparte, a guardare le celebrazioni per il nuovo campione con un misto di orgoglio e nostalgia. Creed III, il primo film della saga che non potrà reggersi sulla presenza del suo creatore, ci dirà se Stallone ha fatto la scelta giusta. Ma noi di Stallone ci fidiamo, e siamo sicuri che sarà così.

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