È arrivato su Netflix Dolittle, il grande flop del 2020 con Robert Downey Jr. Guardatelo e tornate qui per aiutarci a risolvere il grande enigma che rimane dopo la visione: di che diavolo parla il film?

Perché questo blockbuster fatto da creature in computer grafica, da un Dottor Dolittle che sembra un Jack Sparrow senza personalità, è un insieme di scene che non si tengono insieme l’una con l’altra. C’è la regina d’Inghilterra che sta morendo avvelenata, un ragazzino di nome Tommy che finisce nella casa del bizzarro veterinario con la capacità di parlare agli animali. Emma Thompson, Tom Holland, Rami Malek, John Cena, Ralph Fiennes, Marion Cotillard, per citare solo qualche nome, doppiano gli animali che fanno da spalla al protagonista. Le loro personalità sono però il più generiche possibile. Verranno poi messi in pericolo, senza troppi rimorsi, quando Dolittle li costringe a partire all’avventura per salvare la regina d’Inghilterra avvelenata.

Inizia così un viaggio ai confini della terra in cui la povera reale se ne sta agonizzante nel letto mentre Dolittle estrae oggetti (e gas) dal didietro di un drago. Per arrivare a questo culmine narrativo, lo spettatore dovrà sorbirsi alcune rocambolesche scene d’azione che non ci provano neanche a portare avanti la trama (sono il momento migliore per andare in bagno). Animali di plastica, o meglio in poligoni digitali, che sembrano caratteristi sottopagati di altri film come La bussola d’oro, Babe, Alvin superstar e Il libro della giungla.

Prendete i tre atti, dividetelo ciascuno in due parti (premessa ed esecuzione) e mischiateli a piacere. Il film non risulterà meno logico della versione arrivata in sala.

L’assurda scelta di Robert Downey Jr. dopo gli Avengers

Di un film del genere si sarebbe detto che serviva a pagare la pensione all’attore protagonista. Diverso il caso di Robert Downey Jr. che invece la vecchiaia l’aveva già messa al sicuro con i compensi da capogiro per il ruolo di Iron Man. Dolittle è stato il suo ultimo film al cinema (ritornerà presto in Oppenheimer) e se è complesso capire il filo logico che lega le scene, ancora di più lo è giustificare la sua presenza in questa produzione se non per puro marketing.

Perché il suo Dolittle è derivativo e svogliatissimo. Ha un trauma, la morte della moglie Lily, che lo imprigiona in una solitudine ricercata tra le mura della sua magione. Circondato solo da animali parla la loro lingua, anche quando ci sono umani vicino a lui (noi sentiamo i versi all’inizio e poi ogni dialogo è “tradotto”). Che spreco di potenziale comico non mostrare mai la faccia allibita delle persone che lo osservano fare versi incomprensibili.

Tornando a Lily, il suo grande rimpianto, lei viene messa da parte con un taglio di barba. Resterà sullo sfondo a giustificare la stramberia del personaggio, ma non si tradurrà mai in un’emozione.

È evidente che Dolittle doveva essere qualcosa d’altro prima di andare sul set. Un indizio viene da Stephen Gaghan alla regia: guardando i film con cui si è fatto le ossa, Syriana e Gold – La grande truffa, poco ci azzecca rispetto al tono solare e di avventura per famiglie. Secondo alcune indiscrezioni si palesarono problemi sin dalla pre produzione con il regista svogliato e contrariato. Venne affiancato da un team di sceneggiatori tra cui Brendan O’Brien e Chris McKay che diedero il loro contributo e se ne andarono per via di impegni precedenti su altri film. Si iniziò a girare senza avere bene idea di cosa si dovesse fare con gli animali che, in una prima versione, erano meno presenti. Sì, mancava anche la terribile scena del drago costipato.

Ma quando il produttore esecutivo Robert Downey Jr. dice cosa si deve fare… nessuno può dire di no!

Dolittle è un test al potere di star?

Dolittle è più interessante come analisi del mercato e del potere delle star di vendere il film. Lasciati i panni di Tony Stark per Robert Downey Jr. c’era la possibilità di rifare quello che aveva fatto con Sherlock Holmes. Prendere cioè un personaggio già noto, arrivato al capolinea nell’immaginario, e reinterpretarlo in chiave moderna. Un attore senza franchise che prova a lanciarne un’altro.

L’operazione non gli è riuscita, e con la sua faccia ben in vista in ogni materiale promozionale non ha alibi. Si può dire che sia fallito anche l’effetto delle superstar sul botteghino. Nessun divo, nemmeno il più pagato, può da solo portare al successo un film mal congegnato. 

Dolittle

Se è chiaro che Dolittle è fatto per far sghignazzare in modo greve i più piccoli, non è altrettanto esplicito attraverso che linguaggio voglia farlo. Inizia come un film classico, dai sentimenti senza tempo (è molto Disney la sequenza di salvataggio dello scoiattolo). Prosegue poi come un film di avventura esotica, in cui l’aiuto degli animali viene chiesto solo quando serve e non quando può semplificare la vita (l’intera sequenza del viaggio in nave). Infine entra nel fantasy. Mentre si trasforma sotto gli occhi del giovane pubblico, Dolittle si riempie di citazioni metatestuali, di strizzatine d’occhio ai genitori per battute che i loro figli non comprenderanno.

Fare film per famiglie è difficilissimo

Dolittle merita una visione solo per mettere alla prova la propria capacità di collegare i punti, di giustificare motivazioni e scelte sia dei personaggi che stilistiche (come un inizio in animazione che non tornerà più). 

In seconda battuta è un buono strumento per ribadire quanto fare film per famiglie che piacciano a genitori e figli sia complicato. Nei libri per bambini il font è chiaro, il linguaggio semplice. Per aiutare la comprensione ci sono le immagini.

In Dolittle si ricrea questa immediatezza nel modo sbagliato. Gli intrecci durano giusto quei 20 minuti di attenzione per una visione prima di dormire dove si spegne la TV e la si riaccende il giorno dopo. La fotografia illumina tutto perché sia chiarissimo e perfettamente comprensibile finendo per appiattire sia le inquadrature che il fascino delle creature. Le azioni sono rocambolesche come quelle di un cartone animato, ma mancano di riflessi, di conseguenze su chi le compie. Le personalità sono comunicate dal design, mai da quello che sono chiamati a fare.

I film per famiglie come Dolittle parlano poco di quello che piace ai piccoli, ma dicono tantissimo del modo in cui, talvolta, Hollywood li vede. Gli dà un film senza sfumature, scritto come lo scriverebbero loro con i compagni di classe. Si inginocchia al loro livello, li guarda negli occhi e parla lo stesso linguaggio. Come fa Dolittle con gli animali. È lui che fa tutto il lavoro, impara e traduce le sue idee nel loro modo di esprimersi. Invece il compito dei film è l’opposto. Il grande cinema per famiglie prende in braccio la loro fantasia e li solleva, gli insegna parole nuove, nuovi immaginari, e li fa camminare in alto con lui per guardare orizzonti nuovi.

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