A trent’anni dalla sua uscita – che si festeggiano proprio oggi: auguri! –, Double Impact – Vendetta finale è ancora uno dei migliori film con Jean-Claude Van Damme mai usciti. Nel caso specifico del film di Sheldon Lettich, la dicitura corretta sarebbe “film di Jean-Claude Van Damme”, non solo “con”: come il predecessore Lionheart – Scommessa vincente è stato scritto a quattro mani da Lettich e lo stesso Van Damme, seppur con l’aiuto più o meno accreditato di altre figure professionali. Non è un dettaglio da nulla: oltre a essere un gran film di arti marziali e un bel thriller occidentale costruito secondo il modello di quelli di Hong Kong a cui si ispira, Double Impact – Vendetta finale è anche una sorta di seduta psicanalitica del suo autore. È un modo per Van Damme per mettere sullo schermo un momento decisivo della sua carriera e potercisi confrontare: dopo essere esploso come grande artista marziale prestato al cinema e aver scalato la classifica delle preferenze con i vari Bloodsport e Kickboxer, JCVD voleva poter cominciare a fare l’attore, e a essere apprezzato anche per le sue doti interpretative e non solo quelle atletiche. Per farlo scrisse una storia ispirata a Dumas, a David Cronenberg e a un vecchio cabinato da sala giochi, per dire che a volte la soluzione migliore non è necessariamente quella più semplice.

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Double Impact – Vendetta finale è talmente ispirato a Dumas, e in particolare al suo I fratelli corsi, che inizialmente si sarebbe dovuto intitolare proprio The Corsican Brothers, come ha raccontato Sheldon Lettich qualche anno fa. Lettich al tempo si era già fatto un nome nell’action-e-dintorni, aiutato dalla sua esperienza da ex militare, scrivendo non solo il già citato Bloodsport, ma anche Rambo III insieme a Stallone; venne scelto dalla Cannon di Menahem Golan per scrivere e dirigere l’adattamento del romanzo di Dumas, e fu lui a proporre di coinvolgere Van Damme e affidargli il doppio ruolo dei due fratelli gemelli protagonisti, separati alla nascita da un destino infame e ritrovatisi venticinque anni dopo in nome di una comune vendetta.

 

Van Damme

 

Golan, che pure di questo cinema ne capisce eccome, disse di no, e rinunciò al progetto: sempre secondo Lettich, la sua risposta precisa fu “Jean-Claude non sa fare neanche un personaggio, figurati due”. I diritti vennero acquistati da un altro grande nome dell’epoca, Moshe Diamant, che accettò con entusiasmo la presenza di JCVD e lo mise all’opera insieme a Lettich per sistemare la sceneggiatura pre-esistente. E qui arriviamo al momento in cui la storia del film e la storia personale di Van Damme si intrecciano, in tanti modi diversi.

Innanzitutto, Van Damme era grande amico e grande estimatore di Bolo Yeung, che si era fatto notare per la prima volta in I 3 dell’operazione drago e che gli aveva già fatto da spalla in Bloodsport. Lo volle quindi coinvolgere a tutti i costi e affidargli il ruolo del villain (o meglio dello scagnozzo principale del villain, il quale però è un criminale di classe e non si sporca mai le mani), e scrisse quindi una storia ambientata a Hong Kong nonostante i protagonisti fossero due fratelli inglesi con l’accento francese. Il cambio di ambientazione rispetto al romanzo permise anche a Van Damme e Lettich di pescare a piene mani dal cinema di sbirri e criminali di quel Paese, e di scrivere quella che è una storia semplicissima ma ricca di dettagli, scene utili a creare atmosfera e immersione, e persino deviazioni in direzioni stilistiche imprevedibili (e, va detto, non sempre riuscitissime).

 

Van Damme e signora

 

Questo perché nello scrivere Double Impact Van Damme aveva solo una cosa in testa, che lui stesso al tempo descriveva così: “Per costruire un impero ti serve qualcosa di più dei soli muscoli”. Non solo: “Sto cambiando la mia immagine per Double Impact: interpreterò due gemelli. Uno è violento e l’altro no, e in questo modo il pubblico potrà apprezzare il contrasto tra i due e la profondità del mio lavoro”. Dice sempre Van Damme di aver visto la performance di Jeremy Irons in Inseparabili di Cronenberg e di aver deciso che il doppio ruolo fosse il modo migliore per mostrare alla gente di non essere solo un tocco di carne con la forza di un rinoceronte e l’agilità di un ballerino, ma un attore a tutto tondo. “Se continuo a fare solo film di arti marziali la gente si stuferà di me. Se voglio una lunga carriera da attore devo staccarmi dai ruoli più fisici”.

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Il risultato di questa aspirazione è che la sceneggiatura di Lettich e Van Damme, e in particolare il modo in cui sono caratterizzati i due protagonisti, assomiglia a una seduta psicanalitica per lo stesso protagonista, che si siede sul lettino e comincia a spiegare come si senta diviso tra la voglia di continuare a fare l’atleta, a essere violento e imprevedibile e acrobatico e maschio, e quella di provare a esprimere sentimenti, a interpretare ruoli per i quali siano previsti dialoghi e cambi di registro e scene madre che non coinvolgano calci volanti. Chad, il Van Damme buono, ci viene presentato come una specie di Indiana Jones meets il personal trainer più inappropriato della storia: è un karateka ma anche istruttore di yoga che intrattiene un folto pubblico di avvenenti fanciulle mostrando loro quanto è snodabile e quanto sodo è il suo fondoschiena, accarezzandole e ammiccando. Alex, il Van Damme cattivo, ha i capelli tirati all’indietro con il gel, il sigaro perennemente in bocca e l’espressione a cui Van Damme ci aveva abituato fin lì. Rappresentano abbastanza chiaramente quelli che JCVD vedeva come il suo passato e il suo futuro (tanto è vero che Alex vive nel passato, cioè a Hong Kong, dove la loro famiglia è stata sterminata dalla Triade), e non a caso a Chad vengono lasciate le battute più brillanti e le frasi più lunghe, mentre Alex passa il tempo a grugnire e pronunciare monosillabi o insulti.

 

Mr Zhang

 

Riguardando Double Impact bisogna ammettere che l’azzardo ha funzionato, anche grazie a un gran lavoro di messa in scena e montaggio che pur senza CGI e con pochissimo uso di stunt riesce a raddoppiare la figura di Van Damme per tutto il film senza mai svelare il trucchetto e rovinare la magia (Lettich spiega come hanno fatto qui). Con il senno di poi il film risente di un po’ di ingenuità, soprattutto riguardo a come sono gestiti i più importanti snodi di trama – è talmente assurdo da diventare eccezionale, per esempio, il modo in cui Frank, il padre putativo di Chad interpretato da Geoffrey Lewis, gli rivela che non è suo zio e che i suoi genitori sono stati uccisi dalla mafia di Hong Kong 25 anni prima. Ma a fronte di quella che poteva essere una storia semplicissima e lineare e costruita tutta sul rapporto tra le due metà di Van Damme, Double Impact non si dimentica mai di essere anche e soprattutto un film action.

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È la cosa più importante e il motivo per cui ancora oggi è un capolavoro: la carriera di Van Damme è proseguita a lungo nonostante le arti marziali, certe sue opere più recenti tipo JCVD hanno tolto ogni dubbio sul suo talento, e a rivederlo oggi Double Impact fa venire voglia ogni tanto di entrare nello schermo e abbracciare Alex e Chad dicendo loro “ma certo che siete bravi!”. Il motivo per cui non lo si fa è che raramente passano dieci minuti senza che esploda qualcosa, che siano pallottole, bombe o Mercedes di lusso in mezzo al mare. Con tutto il rispetto per le aspirazioni alte di Van Damme, ma è quando comincia a dare calci e schiaffi che diventa il migliore, o comunque uno dei. E Double Impact è una delle cose migliori fatte da uno dei migliori: cosa aspettate a (ri)guardarvelo?

Double Impact – Vendetta finale uscì nei cinema il 9 agosto 1991

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