“Exploitation” è uno di quei termini-ombrello che, a forza di venire usati e abusati, hanno perso almeno in parte il loro significato originario per diventare un semplice sinonimo di film a basso budget e spesso scarso impegno. Nel caso di Robert Rodriguez e del suo esordio alla regia di un lungometraggio, però, il termine si può impiegare senza problemi, perché per una volta descrive alla perfezione l’opera: El Mariachi è un film di exploitation, in termini di budget ma anche di come sfrutta, appunto, una serie di elementi di grande impatto (sangue, morte, sesso) per dare valore a una storia tutto sommato lineare e senza le cosiddette “ambizioni alte”. Volendo scendere ancora più nel tecnico, El Mariachi è un film di Mexploitation, quel sottogenere nato in Messico negli anni Sessanta che raccontava storie a basso budget di criminalità, cartelli della droga, musica mariachi e donne seminude. E se davvero ve la sentite, El Mariachi è un’altra cosa ancora: un film di exploitation sulla Mexploitation, che riprende tutti gli elementi distintivi del genere e li mette in una confezione vendibile anche al di fuori dei confini messicani.

Una delle caratteristiche comuni a tutti i film di exploitation è il fatto di essere girati con pochi mezzi, tante idee e la voglia prima di tutto di stupire e shockare. In questo senso El Mariachi rispetta tutti i canoni. Robert Rodriguez, il cui curriculum fino a quel momento consisteva in un cortometraggio chiamato Bedhead che aveva ben figurato in un paio di festival a tema, lo girò con 7.000 dollari di budget; e la maggior parte di questi soldi, ha raccontato lui stesso, provenivano dalla sua, diciamo così, “attività” come tester di prodotti farmaceutici. Oggi ci sembra impossibile immaginare di girare un intero film con 7.000$, e già al tempo… be’, stiamo parlando veramente di quattro soldi: il livello di risparmio era tale che, per la scena iniziale girata in una prigione, Rodriguez chiese alle guardie della vera prigione che faceva da set di interpretare loro stesse, per risparmiare in cachet attoriale e costumi.

El Mariachi bumbum

L’edizione home video di El Mariachi, che contiene una commentary track dello stesso Rodriguez, è ancora oggi uno scrigno di idee, spunti e scelte creative che dimostrano come il regista avesse una voglia matta di girare questo film, e nessuna intenzione di farsi limitare dai suoi mezzi. Rodriguez parla per esempio dell’assenza di un dolly sul set, che venne sostituito da… lui stesso, con la camera in mano, seduto su una sedia a rotelle. Racconta dell’assenza di una vera crew, sostituita dagli stessi attori del film quando non stavano girando. Spiega persino che sul set non c’erano ciak, e il numero della scena e del take veniva chiamato a mano – letteralmente, eh: per la scena 2, take 5 si alzavano prima due dita, poi cinque. E ovviamente, siccome la pellicola costa, Rodriguez non concedeva bis: se la scena era da rifare per un motivo valido la si rifaceva, ma se c’era solo un piccolo, insignificante errore la si teneva così; è il motivo per cui, se fate attenzione alla scena del Mariachi sul bus, scorgerete lo stesso Rodriguez, finito nell’inquadratura per sbaglio e lì rimasto a imperitura memoria.

L’aspetto più sconvolgente di questa lavorazione a costo quasi zero è che El Mariachi è ancora oggi un grande, grandissimo film, che mostra certo i suoi limiti finanziari, ma che è girato con la sicurezza di un veterano, ed è strapieno di idee visive che il regista affinerà nei suoi film successivi trasformandole nei suoi tratti distintivi e riconoscibili (vi consigliamo un drinking game: uno shot di tequila per ogni zoomata rapidissima). Rodriguez guarda alla Mexploitation ma getta più di un occhio anche all’America, a partire dal fatto che sì, El Mariachi parla di cartelli della droga e di crimini efferati consumati alla luce del sole, come da cinema di genere messicano degli anni Sessanta e Settanta; ma parla anche la lingua del western, di Clint Eastwood e di tutti i personaggi senza nome che arrivano in una città sperduta a spostare i precari equilibri locali.

Coso

E quindi parla anche la lingua di Kurosawa, vero nume tutelare del western post-spaghetti e post- in generale: il Mariachi compare ai confini della città senza nome armato solo della sua chitarra; non scopriremo mai come si chiama né, di fatto, come si chiama la città dove è arrivato. E mentre sta camminando placido verso il suo destino, incrocia una tartaruga che gli attraversa la strada. Doveva esserci, nelle intenzioni di Rodriguez? No, ma il bello di girare con pochi soldi è che ogni tanto il mondo reale entra sul tuo set e fa quello che vuole. Rodriguez decise quindi di tenere la scena della tartaruga: se al posto di Carlos Gallardo ci fosse Toshiro Mifune (e al posto della chitarra uno shamisen)…

È per questo che abbiamo parlato di “exploitation sulla Mexploitation”: El Mariachi è un film più colto di quanto avrebbe diritto di essere un esordio da 7.000$, guarda al cinema di genere messicano tanto quanto guarda ai grandi classici della frontiera, e pesca abbastanza elementi da questi ultimi da essere appetibile anche per un pubblico americano – come dimostra il fatto che il film fu fatto per uscire sul mercato locale, ma venne notato da Columbia Pictures e acquisito per la distribuzione anche negli Stati Uniti. Un passaggio che aggiunse un altro paio di centinaia di migliaia di dollari al budget, visto che Columbia ci andò giù pesantemente con la post-produzione, necessaria per rendere El Mariachi presentabile sul mercato statunitense. Il resto della storia dimostra che Rodriguez ci aveva visto lungo: non solo El Mariachi è ancora oggi uno dei film con la più clamorosa differenza tra budget e incassi di sempre (grazie all’America arrivò a 2 milioni di dollari, contro i 7.000 iniziali), ma il personaggio piacque talmente tanto che per il sequel il regista si poté permettere di sostituirlo addirittura con Antonio Banderas.

Piscina

È un peccato che proprio i sequel abbiano un po’ rovinato la perfezione a basso costo di El Mariachi – non tanto Desperado, che anzi beneficia dell’aumento di budget anche se soffre di un ritmo più altalenante, quanto C’era una volta in Messico, nel quale Rodriguez perde tutta la spontaneità e la sporcizia dei primi due capitoli per lanciarsi a capofitto nel pasticcio postmoderno. Ma d’altra parte era impensabile che, al suo terzo film sullo stesso personaggio e ormai diventato ricco, Rodriguez continuasse a girare con quattro soldi e tante idee. El Mariachi, la storia di un poveraccio che arriva nella città sbagliata con la custodia sbagliata ma che grazie a questo errore si scopre killer letale e indistruttibile, resterà sempre un unicum, un’esperienza irripetibile che esiste solo grazie all’incoscienza dei 23 anni.

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