I dati sugli spettatori di Elvis e il successo dei film sui musicisti chiedono una riflessione: questo genere potrebbe diventare un’opzione sicura come i cinecomic?

Come dimenticare le scene di delirio collettivo durante Avengers: Endgame o all’arrivo dei due Spider-Man in No Way Home? I Marvel Studios ormai da più di un decennio hanno l’assoluto potere commerciale e una penetrazione nell’immaginario collettivo senza precedenti. Che piaccia o meno il progetto dell’MCU ci sono alcune evidenze inconfutabili: a livello di introiti commerciali questi film sono ad oggi un porto sicuro. Danno respiro alle sale e tengono alto l’interesse su un genere, quello dei supereroi, che riesce ancora a mantenere alto l’interesse. Non è solo una questione Marvel: anche le altre case (con meno costanza) hanno inanellato successi partendo dal mondo dei fumetti.

L’entusiasmo e l’energia con cui i fan hanno chiesto a gran voce Zack Snyder’s Justice League ha creato dei grattacapi nella dirigenza Warner, ma è anche un segnale positivo tanto quanto le urla di gioia in sala alle proiezioni dei film più riusciti dell’MCU. Il cinecomic ha ancora un pubblico attivista, che firma petizioni, che rende le proiezioni degli eventi, che discute attivamente sui social creando un meccanismo felice di autoproduzione. Soprattutto però è gente così appassionata che è disposta a vedere due o più volte lo stesso film.

E se all’improvviso tutto questo dovesse finire?

Se passasse di colpo questo entusiasmo al cinema resterebbe ancora molto per sostenersi, ma sarebbe decisamente più povero. Nell’anno record del 2019 il box office globale ha toccato i 42.5 miliardi di dollari con 4 cinecomic nella top 10. Da soli hanno fatto più di 6 miliardi di dollari. Come si può notare le cifre sono incredibili, ma questi film non sono l’unica stampella su cui si regge l’industria.

In quell’anno Il Re leone, Frozen II, L’ascesa di Skywalker, Toy Story 4 e Aladdin hanno portato in cassa altri 6 miliardi e 300 milioni totali. Se c’è quindi uno strapotere commerciale è quello dei sequel e delle proprietà derivate più che dei fumetti trasposti al cinema.

Solo che i cinecomic tendono ad andare con maggiore sicurezza nella parte alta della classifica e, spesso, infrangono anche record. Sono un investimento generalmente più sicuro che porta incassi e la partecipazione attiva del pubblico, che torna a casa dalla visione generalmente molto soddisfatto (si vedano i vari aggregatori dei pareri del pubblico come i cinemascore). Essere contenti dell’esperienza comporta una maggiore propensione a tornare, quindi all’affetto verso la sala e i film. 

Se tutto questo finisse di colpo occorrerebbe ricominciare a ragionare sui target da tenere vicini. Bisognerebbe trovare un nuovo linguaggio (o “moda”, che dir si voglia) capace di convincere allo stesso modo ad acquistare biglietti per il grande schermo. 

La musica è fatta per il cinema

La soluzione potrebbe essere sotto gli occhi da tempo. Da quel successo incredibile che fu Bohemian Rhapsody. Vi abbiamo già raccontato quello che è stato il film per gran parte del pubblico: un evento collettivo, tra nostalgia e voglia di ascoltare buona musica con gli impianti audio dei migliori cinema, che culminava negli ultimi 20 minuti dove si assiste al Live Aid. 

Seguì Rocketman, su Elton John, di minor successo ma con un ottimo riscontro critico. Ora Elvis di Baz Luhrmann è ancora qualcosa di più di questi due titoli. Spinge al massimo sul sonoro, mischiando la voce di Austin Butler con quella di Elvis Presley, trova sonorità moderne dentro ai brani classici. È un film che si forma in fase di montaggio. Richiede una tela ampia per contenere i molti split screen, è bombardante e pieno di energia. Più rapido di Top Gun è un concentrato di energia puramente cinematografica. Anche la sua durata fiume lo aiuta ad essere un prodotto percepito come ideale da fruire in sala (a parità di prezzo del biglietto si resta davanti allo schermo quasi come se si vedessero due film). 

Bisogna tenere d’occhio la tenuta di Elvis verso un pubblico diverso

Nel testa a testa con il film con Tom Cruise, Elvis è uscito vincitore nel weekend di apertura (normale, dato che Top Gun è alla sua quinta settimana, il dato straordinario è la sua tenuta). Soprattutto però, scrive Deadline, il film ha portato in sala un pubblico soprattutto sopra i 35 anni che si è disabituato a frequentare il cinema con assiduità dopo la pandemia. Il 28% degli over 55 che hanno visto Elvis non andava in sala da più di due mesi. Questo significa che ad avere convinto all’acquisto del biglietto sono il titolo specifico, l’argomento o il cast, non l’abitudine di fruizione. Il passaparola è positivo (con un A- nel cinemascore e il 94% del parere del pubblico su Rotten Tomatoes) e dovrebbe garantire gambe lunghe al film. Anche il gradimento è legato all’età anagrafica, con un pubblico adulto che dichiara nei sondaggi di avere gradito il film molto più degli spettatori giovani.

Secondo Comscore PostTrak, il servizio di exit poll e rilevamento dati sugli spettatori, il 49% delle persone è andata a vedere Elvis per la storia che racconta, il 25% per Tom Hanks, il 22% è stato convinto dal trailer visto in sala e la restante parte per la campagna in TV e online e passaparola.

elvis

I biopic sono come l’oro: rari e difficili da trovare

Al di là del singolo caso però sembra che Hollywood stia puntando la propria attenzione verso i film sulla musica. Non c’è ancora una formula consolidata, dato che i tre biopic sopra citati hanno uno stile abbastanza diverso tra di loro.

Nei tratti in comune si trovano alcuni elementi che potremmo definire come dei “metalli rari” che tutti vorrebbero ma che sono difficili da ottenere. I protagonisti devono essere delle grandi star della musica. Ben più di semplici divi, devono essere leggende (e quindi sono per forza di cose limitati nel numero). Devono essere interpretati da degli attori che buchino lo schermo, che sia Renée Zellweger che fa Judy Garland (un film che vira decisamente sul musicale) la mimesi di Rami Malek, l’energia di Taron Edgerton o quella di Austin Butler. Se l’interprete non è famoso va affiancato, e quindi ecco Tom Hanks in Elvis

Serve poi il regista giusto: uno che sappia valorizzare tutti questi elementi dando ritmo e il giusto glamour. Infine non si può fare a meno di una storia struggente. Per quanto siano pochi gli artisti ad avere avuto una vita lineare e non accidentata, i biopic devono pur sempre seguire le regole narrative. Deve esserci dramma, amore, commedia, musica. Si va avanti quindi a sottoinsiemi, che portano a pochissime storie vere che si adattano bene a questo modello.

Però, una volta trovate, i film funzionano. Quando succede hanno l’appoggio della critica come l’aveva la prima Marvel, cioè viene valorizzata l’intuizione di un cinema diverso e molto popolare ma con una chiara idea di cosa vuole essere e del pubblico a cui vuole parlare. E anche di più! Spesso finiscono protagonisti nella stagione dei premi.

Prima il riferimento erano gli appassionati di fumetti, ora gli appassionati di musica. Un pubblico di per sé ancora più ampio. 10 anni fa erano i giovani a portare in sala i genitori per le avventure di Iron Man. Ora potrebbero essere gli adulti a far conoscere tramite i film le leggende della musica. 

Il paragone con i supereroi non è improprio

L’ha usato anche Baz Luhrmann descrivendo la reel presentato al CinemaCon

Sapete, mentre riguardavo con voi questa piccola reel, ho pensato al fatto che sembrava un po’ un film di supereroi. Questo perché, a suo modo, Elvis è stato una specie di supereroe. Veniva dal basso e, in alcuni momenti davvero accecanti, si erge in alto, trova la sua kryptonite e anche l’amore. E poi ne consegue una bellissima e potente tragedia.

Visto il contesto, ovvero la convention di esercenti cinematografici, è chiaro che il paragone è usato per far sentire il profumo dei biglietti strappati. A loro modo però Elvis, e gli altri film sui musicisti, possono essere una valida alternativa alla sicurezza dei cinecomic. Lavorano sui miti della cultura popolare, riportano in vita personalità e brani che hanno segnato il passato di molti. La nostalgia diventa garanzia di qualità (“se mi piacciono i Queen mi piacerà anche il loro film, a patto che ci siano le canzoni”). Di fatto sono musical, o meglio film musicali, che sono riusciti a dribblare la generale diffidenza che ha il pubblico verso questo genere.

Con i cinecomic vincono tutti: chi produce i fumetti, chi gira i film e chi vende merchandise. Con film sulle band accade la stessa cosa: le opere vanno bene al botteghino, rilanciano gli ascolti dei brani, riaccendono la passione (e spesso la compassione) verso gli artisti e le loro drammatiche vite. Dallo spettacolo visivo a quello sonoro il passo è breve, e può definire il futuro del cinema in sala negli anni a venire come un’ottima alternativa. Se così fosse, se si riuscisse a creare varietà in cima alle classifiche di incasso, ne trarrebbe giovamento anche la qualità.

Vale la pena provarci.

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