Face/Off è arrivato su Disney+

C’è stato un brevissimo momento in cui John Woo ha potuto fare John Woo in America ed è stato tra il 2001 e il 2002. La sua carriera americana era partita come si conviene con film su commissione, sceneggiature altrui da trattare con grazia e mettere in scena al meglio. Senza tregua, in cui Van Damme cerca un padre scomparso, e poi un film di profilo superiore, Nome in codice: Broken Arrow, un classico del cinema di tensione anni ‘90 in cui il piano di un manipolo terroristi o generici criminali con intenti iperbolici si scontra con l’uomo semplice americano, con l’unica persona a guardia del forte che può fare qualcosa, in questo caso un ranger e un pilota. Già qui, in Broken Arrow, comincia a fare capolino il vero Woo, cioè le storie in cui l’enfasi è sulla doppiezza, in cui i personaggi hanno due facce o la storia li mette di fronte alla duplicità e quindi all’assunto che bene e male sono contigui. In Broken Arrow un classico voltafaccia che ribalta quel che sapevamo su un personaggio è enfatizzato fino a renderlo un’affermazione sulla natura umana.

FaceOff pistola

È un principio cardinale del miglior John Woo che già stava in The Killer (il cui titolo originale è “Due proiettili eroici”) nel quale i personaggi incarnano virtù opposte e complementari e in fondo, bene e male, sono interscambiabili (lo stesso protagonista è un killer che si ravvede dopo un incidente). In Mission: Impossible 2 poi la fluidità dell’identità e il gioco di inganni sarà ancora superiore, facendo diventare Ethan Hunt un uomo che non è nessuno ed è tutti, sempre identico ad altri. Ma è Face/Off la teorizzazione più chiara e perfetta, il film che espone con la precisione maggiore le sue idee.

FaceOff cage

Nasce spec script, cioè sceneggiatura scritta senza una commissione, in giro da inizio anni ‘90 che a John Woo casca in mano nel 1996. La storia è senza senso. Ma senza senso davvero. Un agente dell’FBI dà la caccia ad un criminale pericolosissimo (che anni prima ha ucciso suo figlio). Per scoprire dove si trovi una bomba che lui ha piazzato ed esploderà di lì a pochi giorni si fa trapiantare la sua faccia (e la voce!), così da infiltrarsi in prigione e scoprire la posizione dell’ordigno. Parallelamente il criminale (senza faccia) svegliatosi dall’intervento costringe il chirurgo a mettergli il volto dell’agente. I due di fatto si sono scambiati i corpi. Sospensione dell’incredulità al massimo. Era ufficialmente più semplice se lo facevano grazie ad una magia, perché così sono più le domande che ci sarebbero da fare delle risposte che vengono date (una per tutte: perché se si scambiano la faccia hanno anche lo stesso fisico??). Ma è John Woo, è cinema stilizzato, è poesia, non è prosa, farsi domande è la cosa più sbagliata.

L’agente più onesto e integerrimo ha le sembianze del criminale peggiore e viceversa. Dovevano essere Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger i protagonisti (allora sì che i problemi di fisico sarebbero stati ineludibili) ma non erano ancora pronti a collaborare e così arrivano John Travolta e Nicolas Cage, i quali possono di fatto interpretare due ruoli, e Nicolas Cage per la prima volta è libero di andare a briglia sciolta, esibendo lo stile di recitazione sopra le righe che un decennio dopo l’avrebbe reso idolo dei meme.
Fino al momento dello scambio il film spinge tantissimo sul fronte della tensione e del sentimentalismo (il proiettile che uccide il figlio dell’agente passando attraverso il suo petto è un’immagine da vero poeta), dallo scambio in poi invece Face/Off ingrana proprio tutta un’altra marcia. È John Woo che tenta per davvero di fare di Hollywood Hong Kong. Nemmeno i soldi di Mission: Impossible 2 garantiranno un’azione simile. Certo molto si era già visto (l’inseguimento con i motoscafi viene da Jackie Chan) ma non sul suolo statunitense.

FaceOff travolta

Più di tutto però è il culmine di quell’idea di doppio a colpire. Perché la sceneggiatura senza nessun senso arriva solo fino ad un certo punto, il resto lo fa la maniera in cui John Woo lavora di immagini e messa in scena per rendere chiaro che il fatto che questi due estremi (il buonissimo e il cattivissimo) si siano scambiati di corpo non fa che enfatizzare come non possano esistere l’uno senza l’altro. Come l’equilibrio delle cose che esistono nel nostro mondo sia fondato sull’opposizione logica, vicina e lontana al tempo stesso. Lo scivolamento dell’uno nel reame dell’altro è sempre ad un passo.
Il momento in cui è più chiaro è nella scena dello specchio, quando i due sono uno di fronte all’altro ma tra di loro c’è una lastra di specchio che ad ognuno riflette la propria immagine, che ovviamente è in realtà l’immagine dell’altro. Si parlano e si sparano, mentre contemporaneamente guardano l’immagine dell’altro che però è il loro nuovo sé. E anche noi per tutto il film dobbiamo fare lo sforzo di ricordarci che quella faccia e quei vestiti da cattivo nascondono un buono e viceversa.

Tutta la grande azione e la creazione di più momenti in cui il movimento (enfatizzato dal ralenti) non segue la logica ma segue l’armonia, è finalizzata a raccontare per intuizione più che per consequenzialità il mondo di John Woo, nel quale idee e valori granitici, immensi, elementari e basilari sono ammirati in un balletto di forze, mentre si bilanciano, si attraggono e si cercano. Lo fa da sempre il wuxia pian e con Woo lo fa il gun fu, la versione con pistole e criminali di quell’idea di spettacolo che unisce tradizione e modernità, armonia e brutalità.

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