Si può dire di essere andati a vedere Ghostbusters: Legacy per sapere come il film avrebbe portato avanti la trama dei primi due capitoli. Per immergersi nella nostalgia anni ’80, o ancora per conoscere i nuovi acchiappafantasmi con il volto di Mckenna Grace, Finn Wolfhard e Logan Kim. Qualcuno magari, per quanto sia difficile da credere, è andato in sala per scoprire per la prima volta questa mitologia ectoplasmatica.

Ammettiamolo però, la maggior parte di noi ha pagato il biglietto per un solo, gigantesco motivo. Attendevamo di assistere a quello che è il colpo di scena più annunciato e atteso del film: il ritorno dei Ghostbusters originali. Un colpo al cuore, una scena madre che da sola carica il film sulle spalle regalando ai più appassionati qualche momento di genuina commozione. Dopo anni di tentativi di realizzare un terzo capitolo, e dopo il controverso reboot del Ghostbusters di Paul Feig caduto nel dimenticatoio nel 2016, c’era il rischio di essere arrivati troppo in ritardo.

Con la scomparsa di Harold Ramis nel 2014, che nella saga interpreta Egon Spengler, la squadra si è ritrovata irrimediabilmente separata. Una linea di confine tracciata proprio da quella morte che ha allontanato l’attore dai suoi compagni vivi, ma che nell’immaginario è ancora saldamente unito. È brillante quindi l’intuizione della sceneggiatura di superare questi confini. Lo fa trovando proprio quell’afterlife (come recita il titolo originale) che tanti grattacapi ha dato in precedenza.

Jason Reitman, regista di Ghostbusters: Legacy, è un grande fan di Egon. Non ha timore di ammettere che ha girato l’opera per suo padre, Ivan, e per la famiglia di Harold Ramis. Non si è buttato nel progetto fino a che non ha avuto l’approvazione di entrambi alla sceneggiatura. E si vede, dato che il film possiede la qualità di un canto in ricordo degli assenti.

Il personaggio di Phoebe, grazie anche alla straordinaria somiglianza – o meglio allo splendido trucco – di Mckenna Grace con Harold Ramis, è modellata sul suo essere un’outsider timida e geniale proprio come il nonno. Ghostbusters: Legacy è anch’esso un film al femminile, ma in una maniera più sottile rispetto al precedente fuori continuity. Usa le emozioni del pubblico e quelle dei suoi personaggi per avvicinarci a un punto di vista nuovo. L’immedesimazione è nella nuova generazione, nella nuova ragazzina cresciuta con il mito di quei quattro eroi. Come i tanti spettatori cresciuti con il sogno di catturare i fantasmi. Persone che, forse, oggi possono accompagnare i loro figli in sala, realizzando l’ideale passaggio di consegne.

Ma come è andato l’incontro generazionale? Grazie a diverse interviste possiamo sapere che cosa ne pensano gli attori originali della loro esperienza nel film. Hanno infatti rivelato come è stato riunirsi dopo tutti questi anni sul set, indossando lo zaino protonico per salvare ancora una volta il mondo. Ed è comune la commozione per avere unito le forze ancora una volta in un’opera che altro non è che un grande omaggio a Ramis, che integra l’assenza di Egon così a fondo nella trama da renderlo un protagonista costantemente presente.

Per Ivan Reitman, regista dei primi due capitoli, osservare il figlio lavorare sulla sua creatura è stata un’esperienza personale e commovente. Come ci ha detto Jason Reitman quando l’abbiamo intervistato, suo padre è stato vicino a lui sul set dando più volte consigli. Inevitabile quindi l’emozione nel rimettere insieme la squadra: “il giorno in cui tutti e tre si sono presentati per la prima volta è stato straordinario anche se stavano solo sistemando alcune cose. È bastato sentire l’atmosfera, non solo per me ma l’ho percepita in tutta la troupe e il cast” ha detto Ivan.

Attore dal carattere non sempre semplice, Bill Murray ha trovato particolarmente difficile ritornare nei panni di Peter Venkman. Una volta raggiunto il set e ricongiuntosi con i compagni, pur soffrendo la mancanza dell’ “uomo in meno”, ha iniziato a fare ciò che lo contraddistingue. Si è calato nella parte e ha giocato con la sceneggiatura improvvisando battute. Alcune delle sue trovate sono poi finite nel film. Ha ammesso di essersi sentito come una rock star di nuovo sul palcoscenico.

Danny ed Ernie e me insieme, non in scene separate, ma veramente insieme! C’è della potenza. È come Mick Jagger e Keith Richards, hanno fatto album solisti ma quando sono tutti insieme sul palco è un’altra cosa. 

Dan Aykroyd invece non ha mostrato altro dubbio oltre a un genuino entusiasmo nel ritornare di fronte ai riflettori a cacciare i fantasmi. In particolare è stato particolarmente felice nel rincontrare il suo sodale e amico Murray.

È stato veramente divertente tornare. Billy è così esilarante dovunque va. È uno di quegli esseri umani che hanno del magnetismo. Lo guardi e subito ridi. Lui è così buffo mentre ciondola con quell’attrezzatura, che non ama portare più di ciascuno di noi, e lo vedi gironzolare in quel costume cercando di sopportarlo. È stata una settimana fantastica. 

Ernie Hudson ha condiviso con Bill Murray l’idea di essere un po’ un pesce fuor d’acqua nel set. Nei primi giorni delle riprese tendeva a isolarsi limitando al minimo le interazioni con tutti. Non sa spiegare nemmeno lui il perché, forse per una sua fatica ad essere estroverso, ma sicuramente non per la mancanza di occasioni. Bill Murray andava spesso da lui cercando di coinvolgerlo, ma Hudson preferiva pranzare da solo. A “sbloccarlo” è stata Olivia Wilde che l’ha invitato a mangiare con lei. Quando si sono seduti insieme li ha raggiunti anche Ivan Reitman con altre persone.

È bastato questo per rompere il ghiaccio e farlo divertire come tutti gli altri: “sono sempre stato così; sono un po’a disagio, ma poi Gozer mi ha invitato. Quello di cui ho bisogno è un’altra persona”.

Hudson continua raccontando quella sensazione surreale di lavorare di nuovo con i due colleghi. Nemmeno l’incredibile carriera di attore l’ha preparato al momento:

Avrò fatto, non so, probabilmente 250 parti o giù di lì. Ma non è cosa di tutti i giorni lavorare con Bill Murray e vederlo cercare di realizzare qualcosa con Danny, cercare di colmare il vuoto fino a che non si genera qualcosa di magico.

La forma fisica del gruppo non è più, diciamo, smagliante. E ne sono consapevoli. In una riuscita battuta del film i Ghostbusters a terra dicono “non mi ricordavo che questo lavoro fosse così doloroso”. E cercano di rialzarsi a fatica. In quel momento non stavano recitando.

Quando il regista li ha invitati a “saltare su”, Aykroyd gli ha ribattuto che non ci sarebbero stati i balzi che desiderava. Ma solo una lenta salita su un ginocchio, un sollevamento dello zaino mentre entrambe le mani afferravano a fatica l’automobile come sostegno. Era tutto quello che gli poteva dare.

Per sbaglio poi Hudson mandò Murray dal medico. Niente di grave, solo un colpo di pistola protonica sulla fronte alla fine di una ripresa. Finita l’inquadratura l’attore ha mosso velocemente l’oggetto senza sapere che l’amico era lì, dietro di lui, colpendolo così in testa. Murray venne visitato e tornò a lavorare pochi minuti dopo la visita fingendo di essere stato gravemente ferito ed essersi ripreso miracolosamente. 

Insomma, un set in cui avremmo voluto essere presenti per assistere a questo commovente incontro tra amici e a divertirci con l’intera troupe. E voi che ne pensate? Vi ha emozionato Ghostbusters: Legacy? Fatecelo sapere nei commenti!

Fonte: Hollywood Reporter, Vanity Fair

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