Oltre a essere uno dei migliori thriller-horror – più la prima che la seconda – degli ultimi anni, Green Room di Jeremy Saulnier è un film sulla musica. Non un musical né la storia di un musicista famoso, e neanche un film tipo Whiplash che parla dell’atto di suonare; Green Room è un film sulla musica, e sull’ascolto della stessa, come atto identitario e di definizione e collocamento sociale della propria persona, un film che dice che quello che ascoltiamo e quello che siamo e pensiamo sono spesso inestricabili tra loro.
In quanto tale, ed essendo un film dove il punk è buono e il black metal è cattivo, mi mette in una tremenda difficoltà.
La parte “ai miei tempi…”
Sono cresciuto frequentando un giro di gente del metallo molto legata a una definizione classicamente hard rock del genere – quelle persone che ritengono che i Deep Purple e i Black Sabbath con Dio alla voce siano più importanti dei Dead Kennedys e dei Minor Threat, e che non considerano degne di attenzion...
Il thriller di Jeremy Saulnier è anche un film che parla di musica, attitudine e nazismo, e risveglia turbe adolescenziali
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