Sull’onda di oltre 500.000 copie vendute negli Stati Uniti e lo status di “#1 New York Times besteller”, da maggio anche i fan italiani di Matthew McConaughey hanno potuto scoprire la vita dell’attore texano grazie all’autobiografia Greenlights (ed. Baldini+Castoldi). McConaughey è un personaggio fondamentalmente a sé stante, ed è facile intuire come non sia per nulla facile risultare a sé stante in uno star system dove la lista di eccentricità e peculiarità di attori e attrici è piuttosto lunga.

Vive ad Austin, Texas, dove aveva vissuto parte dell’adolescenza e frequentato l’università, a tre ore di macchina dalla città natale Uvalde. Si è talmente calato nell’atmosfera cittadina che è tra gli investitori dell’FC Austin, la squadra di calcio fondata nel 2019. Basta seguire il suo profilo Instagram per vederlo spesso impegnato vestito completamente di verde fare un tifo sfrenato per la sua squadra; e chi ha un po’ il polso dello sport americano sa bene che il calcio maschile non è esattamente la prima scelta delle star. Segue assiduamente anche tutte le squadre universitarie della città, altra scelta lontana dai riflettori considerando che le partite universitarie non garantiscono nessuno status quo a differenza, per esempio, dei parterre Nba frequentatissimi dalle altre star di Hollywood o della musica. Un’altra particolarità decisamente atipica: dal 2019 è professore a tempo pieno di un corso di cinema alla University of Texas (ovviamente di Austin, e dove se no?), fresco di nomina di “Minister of Culture”, con l’obiettivo di fare da ambasciatore per aiutare città e ateneo a espandere la propria potenzialità cosmopolita.

Greenlights brilla sotto tanti aspetti: la quantità di aneddoti e il racconto schietto degli stessi, tante fotografie private, appunti manoscritti, ricordi di viaggi tanto selvaggi quanto memorabili, un alto tasso di misticismo che si miscela sorprendentemente bene gli aspetti e le esperienze più ruvide e materiali del Texas. Qual è il senso di Greenlights? E cosa simboleggiano questi semafori verdi? “Greenlights” è una parola che ricorre spesso, e ogni volta è ben visibile nella pagine perché scritta in verde. La si trova di tanto in tanto nel libro quando l’episodio appena raccontato è servito per dare una svolta. Fin dall’inizio l’attore premio Oscar per Dallas Buyers Club chiarisce come i semafori verdi siano “una conferma del nostro percorso, segni di approvazione […] prendere i greenlights è una questione di abilità: intenzione, contesto, attenzione, resistenza, aspettative, resilienza, velocità e disciplina […] per percorrere l’autostrada della vita nel miglior modo possibile è necessario relativizzare l’inevitabile al momento giusto […] I problemi che affrontiamo oggi diventano benedizioni nello specchietto retrovisore della vita. Col tempo, il semaforo rosso di ieri diventerà verde. La distruzione porta alla ricostruzione, la morte alla nascita, il dolore al piacere. Questo è un libro su come prendere più “sì” in un mondo di “no” e su come riconoscere quando un “no” potrebbe in realtà essere un “sì”. È un libro su come prendere i greenlights e capire che i gialli e i rossi alla fine diventino verdi”.

Il cinema non occupa la maggior parte del libro, ma ovviamente è presente e in buona quantità. Ecco alcuni dei passaggi più interessanti:

1) Su Dallas Buyers Club: “Presi l’auto e andai a casa della sorella e della figlia di Ron Woodroof (il personaggio interpretato da Matthew McConaughey, ndr) in una piccola cittadina nei dintorni di Dallas. Loro mi accolsero a braccia aperte, dimostrandomi una fiducia incondizionata in quanto custode dell’eredità del loro padre e fratello. Guardammo delle vecchie vhs di Ron e della sua famiglia, di Ron in vacanza, che faceva lo spaccone davanti alla telecamera, vestito da Halloween. Furono molto sincere su chi era e su chi non era, e risposero a ogni mia domanda. Proprio mentre si stavamo salutando, sua sorella mi chiese: <<Saresti interessato al suo diario? Ne ha tenuto uno per anni>>. <<Sarei onorato di poterlo avere>>, risposi. Diventò la mia chiave segreta per l’anima di Ron”.

2) Su The Wolf of Wall Street: “Non appena lessi la sceneggiatura e vidi che il segreto del successo di Mark Hanna (il suo personaggio, ndr) erano cocaina e troie, spiccai il volo. Delirante o no, chiunque sia convinto di una cosa del genere dovrebbe avere un’enciclopedia su di lui. E cominciai a scriverla io. Io mi lanciai in quella improvvisazione musicale tra il folle e l’incredibile che poi è finita nel film. Scorsese mi lasciò fare e DiCaprio mi aiutò. Quel battermi sul petto canticchiando? Lo facevo prima di ogni ciak per rilassarmi e tenere il ritmo. Farmelo fare anche in scena fu un’idea di Leonardo”.

3) Su True Detective: “La sceneggiatura di Nic Pizzolatto era talmente incandescente che grondava sangue. Anche se era pensata per il piccolo schermo non ebbi esitazioni, perché la storia e i personaggi avevano un’identità forte e originale. Mi era stato offerto il ruolo di Marty Hart, ma io volevo quello di Rustin Cohle, il più grande detective che avessi mai conosciuto. Non vedevo l’ora di voltare pagina per sapere cosa avrebbe detto. Un uomo-isola diviso tra il rispetto mortale della morte e il bisogno immortale della sua liberazione. Un uomo che, senza sentimentalismi, cercava caparbiamente la verità a prescindere da quanto potesse fare male. Mi faceva venire la pelle d’oca”.

4) Sul rifiuto delle commedie romantiche e la svolta della carriera: “Discussi la mia decisione con Camila (la moglie, ndr) e inondai il pavimento di lacrime. Piangemmo. Pregammo. Alla fine facemmo un patto. Ero a un bivio. Non era una catastrofe, ma sapevo che il mio dilemma esistenziale mi sarebbe costato molto, non solo in termini finanziari, ma anche emotivamente. La fatica di non sapere se e quando ne sarei uscito sarebbe stata una prova molto dura da superare […] Avevo comprato un biglietto di sola andata per “le faremo sapere”. Speravo nel meglio ma ero pronto al peggio”.

5) Su Contact: “Tornai a Hollywood e presi la decisione di interpretare il ruolo di Palmer Joss nel film di Robert Zemeckis. Dopo il viaggio in Amazzonia, impersonare un uomo credente in un mondo dominato dalla scienza era la cosa più vicina alla verità che avevo raggiunto e che volevo portare davanti alla cinepresa”.

Il libro di Matthew McConaughey si chiude con un appunto scritto a mano all’interno di un cuore stilizzato: “Sono venuto qui in solitudine per scrivere, sapevo che avrei sanguinato, ed è stato così. Il mio cuore ha pompato sangue nelle mie vene come non mai”.

È un finale perfettamente emblematico: un’autobiografia davvero piena di cuore, con tutti i pregi e difetti che l’organo vitale porta con sé ma sempre con l’esplosione di vita che lo caratterizza. Greenlights ha anche il merito, non secondario, di regalare un plus alle sue interpretazioni e quindi ai suoi film. Dopo aver scoperto il percorso e lo spessore della persona, riguardare Dallas Buyers Club, Interstellar, True Detective e gli altri progetti principali di Matthew McConaughey ve li farà in piccola parte riscoprire, e probabilmente li apprezzerete un pizzico di più. Non resta che augurarvi, se lo vorrete, buona lettura all’inconfondibile grido “Alright, alright, alright”.

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