I 3 dell’operazione Drago va in onda su Iris questa sera alle 21:00 e in replica sabato alle 11:41

I 3 dell’operazione Drago è un film talmente importante che si potrebbe parlarne anche senza mai citare il fatto che è bellissimo. Ultimo lavoro completo di Bruce Lee prima della sua morte, avvenuta proprio durante una sessione di ridoppiaggio del film, è ancora oggi non solo il film di arti marziali che ha incassato di più nella storia del cinema (facendo i conti con l’inflazione, superò l’equivalente del miliardo di dollari nel mondo), ma uno dei più citati, copiati e parodiati, oltre a essere il film che avrebbe potuto far fare a Lee il salto definitivo anche in America, e che invece si è trasformato nel suo epitaffio. Ed è anche un film nato da una convergenza di ispirazioni provenienti da scene diverse, e tutte ugualmente desiderose di uscire dall’underground per ritagliarsi un posto al sole: uno di quegli eventi unici nella storia del cinema, che è facile indicare come “svolta epocale”.

All’inizio degli anni Settanta la carriera di Bruce Lee era all’ennesimo bivio: superstar in patria, non era invece riuscito a sfondare sul mercato americano, dove era rimasto confinato quasi esclusivamente agli allora meno prestigiosi ruoli televisivi, o costretto a riciclarsi come coreografo per i combattimenti in film altrui. La scarsa considerazione di cui godeva in America, non in quanto Bruce Lee ma in quanto persona non americana, è perfettamente riassunta in un aneddoto raccontato in questo saggio di Daryl Maeda, docente di Asian American Studies a Boulder, Colorado che ha dedicato gran parte della sua carriera alla figura di Bruce Lee. Maeda racconta che nel 1971 Lee interpretò il suo primo e secondo ruolo da protagonista in un film di arti marziali: prima in Tang Shan Daxiong, poi in Jing Wu Men. Entrambi vennero importati anche in America, dove Lee sperava che servissero come showcase del suo talento; in teoria, il primo sarebbe dovuto uscire con il titolo The Chinese Connection, un riferimento al noto film di Friedkin, mentre il secondo come Fist of Fury. Durante il trasporto via nave, però, le bobine vennero inavvertitamente scambiate di scatola: il risultato è che The Chinese Connection uscì con il titolo Fists (sic) of Fury, corretto successivamente in The Big Boss, mentre Fist of Fury uscì come The Chinese Connection (i titoli italiani, per aumentare la confusione, sono rispettivamente Il furore della Cina colpisce ancora e Dalla Cina con furore).

 

I 3 dell'operazione Drago Saxon

 

Tutto questo per dire che Bruce Lee ci ha messo quasi tutta la sua carriera a farsi prendere sul serio da Hollywood, e I 3 dell’operazione Drago è il momento in cui è finalmente accaduto. Il merito è del successo proprio dei due film precedenti, che nel 1972 convinsero Warner Bros. a investire tempo e denaro (non troppo: meno di un milione di dollari) in un film di arti marziali con un protagonista non americano. Stando ai racconti dell’epoca, parte del merito va attribuito al produttore Fred Weintraub, che insieme a Paul Heller intuì che il mercato era pronto ad allargarsi a un altro tipo di pubblico che non fosse necessariamente bianco.

Scritto da Michael Allin (una meteora che sette anni dopo lavorò a Flash Gordon per poi sparire) con una serie di interventi non accreditati dello stesso Lee, I 3 dell’operazione Drago non era solo un film di arti marziali. La sua trama, arrogantemente descritta dalla critica dell’epoca come “una scopiazzatura di James Bond”, vedeva convergere almeno tre diverse tendenze cinematografiche ancora sotterranee ma pronte a esplodere. C’erano le arti marziali, ovviamente, e più in generale una certa “apertura a Oriente”. C’erano i film di spie, non solo 007 ma gli infiniti cloni o personaggi “ispirati a” che giravano in quegli anni. C’era la blaxploitation, che era agli inizi e che grazie a I 3 dell’operazione Drago guadagnerà una figura iconica come Jim Kelly, attore e cintura nera di karate. C’era, insomma, la voglia di coinvolgere una demografica diversa dal solito, e di creare un prodotto realmente internazionale, vendibile su un mercato interno sempre più variegato ma anche nel resto del mondo.

 

I 3 dell'operazione Drago Jim Kelly

 

C’è anche un’altra cosa, in I 3 dell’operazione Drago, che lo rende ancora oggi uno dei migliori film di arti marziali di sempre. È un dettaglio da nulla, una minuzia, ed è il motivo per cui molta dell’action hollywoodiana post-Matrix risulta così posticcia e dimenticabile, e perché John Wick è stato una ventata d’aria fresca. È il fatto, cioè, che dovendo scegliere tra attori professionisti di riconosciuto talento e carisma che hanno bisogno di uno stuntman anche quando si chinano ad allacciarsi le scarpe, e atleti professionisti che suppliscono alle carenze di formazione professionale con la passione e la fisicità, la seconda ipotesi è sempre preferibile. Non si tratta solo di Lee: John Saxon, uno dei co-protagonisti, era cintura nera di judo e karate, per esempio, e lo stesso vale per “lo scagnozzo del villain” Bob Wall e il già citato Kelly. Aggiungeteci che le coreografie sono tutte realizzate da Lee e che tra gli stuntmen impiegati ci sono anche, non accreditati, Jackie Chan e Sammo Hung. Il risultato è che le scene di combattimento sono così:

Noterete che ancora non abbiamo cominciato a parlare del film, e magari non lo faremo. Perché ci sarebbe per esempio da parlare della colonna sonora di Lalo Schifrin, la persona che si è inventata il tema di Mission: Impossible per capirci, che qui sfrutta i toni blaxploitation per sperimentare per la prima volta con il funky, e quelli orientali per incorporare melodie tradizionali cinesi, e il risultato è una delle migliori colonne sonore di sempre. Oppure potremmo discutere di quanti film hanno preso ispirazione da I 3 dell’operazione Drago; o ancora meglio, quanti prodotti di intrattenimento che non sono film: da Dragon Ball a Street Fighter e Mortal Kombat (la cui prima versione cinematografica è sostanzialmente un remake del film di Bruce Lee).

Si potrebbe insomma andare avanti all’infinito a celebrare I 3 dell’operazione Drago per tutto quello che ha rappresentato, e contribuito a creare, con la sua semplice esistenza. Ci sono talmente tante cose da dire che non ci rimane più tempo di discutere del film, della sua trama apparentemente semplicissima ma in realtà complicata, coinvolgente, tesissima e ricca di colpi di scena come si conviene a una spy story, dei momenti di filosofia in pillole che Lee è riuscito a infilare qui e là con grazia e garbo, o di come Shih Kien sia uno dei villain più perfetti di sempre. Solo il tempo di consigliarvelo di cuore, se per qualche motivo ancora non lo conoscete.

 

Bruce Lee

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