Il cosmo sul comò è su Netflix

Forse il vero problema di Il cosmo sul comò è che non aveva speranze fin dall’inizio. Diciamo “problema” perché, a torto o a ragione, il sesto film per il cinema di Aldo, Giovanni e Giacomo (settimo, se vogliamo contare Anplagghed) è considerato un episodio minore, che incassò quanto doveva per non essere considerato un flop ma che non è riuscito a ritagliarsi il suo spazio nel sempre sfuggente immaginario collettivo, se non in quello di una fetta probabilmente minoritaria di fan del trio. È il genere di film che viene ricordato a posteriori in frasi tipo “… un esperimento non del tutto riuscito prima del tanto sospirato ritorno alla forma” – e questa cosa da sola dovrebbe essere vista come una medaglia d’onore dai tre e dal regista Marcello Cesena.

Perché Il cosmo sul comò è un film che, come successo con La leggenda di Al, John e Jack e forse ancora di più, esce dal seminato, scompiglia gli equilibri e prova a mettere Aldo, Giovanni e Giacomo alla prova con situazioni diverse da quelle che hanno fatto la loro fortuna. È uno dei tanti figli non ufficiali di Così è la vita, il sequel bizzarro nel quale per la prima volta i tre non interpretavano loro stessi ma piccole o grandi variazioni sul tema.

Ed è in questo senso ancora più estremo.

 

Dottoressa

 

Merito innanzitutto della struttura a episodi, che al tempo venne indicata come un errore e uno dei principali difetti di Il cosmo sul comò, e causa della sua mancanza di uniformità e coerenza. In realtà, l’idea di resettare non solo le situazioni ma anche i personaggi a ogni nuovo ciclo funziona: tutte e quattro le storie sono variazioni sul tema indicato dal titolo, ma abbastanza diverse tra loro da reggersi anche senza bisogno della cornice. Che è poi un quinto episodio a sé, ma spezzettato nel corso del film; ed è anche quello nel quale il trio si diverte di più e mette in scena quella comicità surreale e imprevedibile che ha da sempre fatto il successo dei loro personaggi televisivi e dei loro sketch teatrali.

Se un difetto si può trovare alla storia del maestro Tsu’Nam e dei suoi discepoli Pin e Puk (… dite quello che volete, ma la battuta fa ridere) è che è soprattutto un esercizio di stile, un divertissement un po’ ombelicale e un po’ scollegato dal resto del film; è facile immaginare gli altri quattro episodi come parabole che il maestro racconta ai discepoli – un dettaglio che legherebbe meglio l’insieme, ma che non viene mai esplicitato. Sono piccolezze, che però indeboliscono in parte la cornice e lasciano il peso del film tutto sulle spalle degli altri quattro cortometraggi.

 

Giovanni Giacomo

 

Ed è qui che, almeno secondo la critica nel 2008, casca l’asino. Il discorso è questo: la carriera di Aldo, Giovanni e Giacomo è da sempre costruita su sketch di breve o media durata. Succedeva in TV, e succedeva nel loro debutto cinematografico. Questi sketch sono sempre stati francamente comici, tutti costruiti per far ridere con un’ampia gamma di strumenti del mestiere. Anche i quattro episodi di Il cosmo sul comò sono, tecnicamente, sketch di media durata. Rispetto a quelli classici, però, hanno riferimenti completamente diversi. Guardano a certe commedie italiane del passato, ma anche al neorealismo e soprattutto a quello straordinario incontro tra le due istanze che erano i film di Don Camillo e Peppone. Hanno anche un piglio più chiaramente cinematografico, un arco narrativo ben definito, una struttura identificabile che spesso mancava negli sketch del passato (pensate a Biglietto amaro che non si conclude mai per davvero, stroncato da una colica renale che sfuma poi nella narrazione principale di Tre uomini e una gamba).

E quindi, per forza di cose, fanno meno ridere. O meglio, fanno meno istantaneamente ridere, hanno meno battute fulminanti, sono piuttosto costruiti per accumulo di situazioni e liberazione finale – che raramente è una sonora risata, più spesso è un sorriso saputello e un po’ sarcastico, o (perdonateci l’ardire) un riso amaro.

 

Il cosmo sul comò Giacomo

 

Milano Beach, il primo dei quattro episodi, è una storia tipicamente milanese come da tradizione del trio, con un finale da realismo magico che solo chi sogna quel prato verde da quando è nato può apprezzare fino in fondo. Ed è anche una storia nella quale, per fare un esempio, Aldo interpreta per la prima volta un personaggio aggressivo e prevaricatore, privo della gentilezza e mitezza d’animo che solitamente lo caratterizza. È una piccolezza che sfugge a chiunque veda Il cosmo sul comò senza essere fan del trio? Senza dubbio, ma parliamoci chiaramente: chi è che nel 2008 non conosceva Aldo, Giovanni e Giacomo, anche solo di sfuggita? Il cosmo sul comò era anche un modo per i tre per continuare a sperimentare con il loro trasformismo, e anche solo per questo è un film importante.

L’autobus del peccato è il già citato omaggio ai film con Fernandel e Gino Cervi, ed è anche l’episodio che più di tutti ha bisogno di tempo per crescere e raccogliere energia prima dell’esplosione. È quello più esistenzialista ma anche quello dove Aldo, Giovanni e Giacomo hanno più spazio per provare a fare un generico “altro”; ed è un piccolo e tutto sommato plausibile ritratto di vita di città-ma-non-centro (la chiesa è quella di San Cristoforo sul Naviglio, qui, almeno per gli esterni) nel quale si intrecciano tre storie ciascuna delle quali avrebbe potuto avere il suo corto dedicato. È l’esempio perfetto del motivo per cui Il cosmo sul comò è un film che andrebbe rivalutato, e del perché invece non sia diventato un culto quanto i suoi predecessori.

 

 

Discorsi analoghi si potrebbero fare anche per l’ultimo episodio, Temperatura basale, ma nel titolo del pezzo vi abbiamo promesso un’altalena, ed è arrivato il momento di parlarne. In parte l’abbiamo già fatto spiegando perché la cornice di Il cosmo sul comò sia più debole del resto. Gran parte della colpa, però, è da attribuire a Falsi prigionieri, l’episodio (vagamente ispirato a Harry Potter) peggiore del lotto, il motivo per cui una media aritmetica delle valutazioni dei cinque si aggira intorno al 6,5/7 e non all’8,5/9. Detta semplicemente e un po’ brutalmente, Falsi prigionieri non funziona, perché si basa su gag e tormentoni ripetuti allo sfinimento e non particolarmente originali (Il cosmo sul comò passa dal discutere di vita eterna e dannazione a provare a farci ridere con le pernacchie), e soprattutto perché è prevedibile nel suo sviluppo fin dai primi istanti. Certo, Napoleone che dice “spaghettì” con tono disgustato resta una cosina divertente. Ma il paragone con quanto viene prima e quanto verrà dopo sono impietosi, e la gag finale che chiude il corto assolutamente fuori fuoco, nel 2008 come nel 2021.

Ora è più chiara l’altalena? Senza quel paio di inciampi che ne rallentano il ritmo, Il cosmo sul comò sarebbe ricordato con molto più affetto dal fandom; e tre episodi su cinque si meritano senza dubbio un posto tra le migliori opere del trio. Peccato un po’ per gli altri due, ma d’altra parte è il rischio di altalena, che resta comunque un’attività divertente.

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