Il padrino ha 50 anni e torna in sala in un’imperdibile versione restaurata. Ancora prima che essere la parabola della famiglia Corleone, uno sconvolgente affresco della lunga mano del crimine organizzato e un dramma dal peso shakespeariano, il capolavoro di Francis Ford Coppola è un film su un mondo. Quello molto specifico della comunità italo-americana, degli immigrati e delle seconde generazioni in lotta per posizionarsi nel grande sistema del progresso statunitense. 

Seguire le orme di una famiglia significa immergersi nel loro ambiente e quindi riproporre in scena il loro grande dilemma culturale. La tensione tra due o più identità identità che loro, inconsapevoli, vivono. Sono cose che non si possono raccontare a voce. Vanno mostrate o elise dal film, non c’è possibilità di compromesso.

Il cinema di Coppola, nei suoi anni d’oro, è costantemente costellato da piccole rivoluzioni, soluzioni nuove, sperimentazioni talmente funzionali al dramma da diventare talvolta invisibili. Per Il padrino una di queste è affidata ai suoni e alle musiche di Nino Rota mixati da Walter Murch per eliminare ogni artificio da studio. Toglie quell’impressione che tutto sia ricostruito, un’imitazione di quello che si crede sia il mondo criminale.  Coppola vuole fare un film inserito in un tempo, in un luogo, e tra persone ben precise, e ci riesce (anche) grazie ai suoni.

La lunga sequenza del matrimonio di Connie è un perfetto esempio di questo melting-pot in musica. A renderlo possibile fu il genio di Walter Murch. Negli anni sessanta Murch concentrò i suoi sforzi nella carriera di tecnico del suono (è stato anche regista e montatore) ideando nuove tecniche per registrare con realismo suoni e luoghi finti. Ha lavorato con Georg Lucas a L’uomo che fuggì dal futuro e American Graffiti che furono per lui un campo di gioco dove sperimentare. Aveva infatti notato alcuni importanti limiti nella riproduzione dei rumori ambientali. Il suono di contorno ai dialoghi nelle scene rumorose o di massa apparava sempre artificiale. Aggiungendolo alla scena si perdeva tutta la componente spaziale, fatta di eco e riverberi, che lo rendono credibile.

Worldizing

Introduce così il concetto del Worldizing. La manipolazione del suono per farlo sembrare un qualcosa di veramente esistente nello spazio in cui è posto. Nel caso specifico della scena del matrimonio di Connie, come spiegato in questo interessante video, ci sono almeno tre componenti da gestire: la musica, il chiacchiericcio della folla, i dialoghi. Per dare immersività serviva registrare con chiarezza sia il primo piano che lo sfondo audio. Con i microfoni dell’epoca, e senza i programmi di filtraggio digitale e pulizia del registrato, era estremamente difficile. Uno spazio aperto suona infatti diverso da uno chiuso con molto riverbero. Così anche una canzone eseguita in una palestra o in un parco all’aperto è inevitabilmente diversa all’ascolto. Come catturare la fisicità del suono in un set reale senza che questo disturbi i dialoghi e, magari, potendolo aggiustare in post produzione?

Il Worldizing Walter Murch consiste nell’eseguire attraverso degli speaker una traccia pre registrata in uno spazio acustico reale. Quei suoni vengono poi ri-registrati acquisendo così la qualità acustica specifica. Murch la sincronizza poi con l’originale per creare un suono che abbia la chiarezza e il corpo come se lo si ascoltasse nel mezzo dell’azione. Per girare il matrimonio di Connie, quindi, la musica veniva riprodotta da degli altoparlanti sul set e nuovamente catturata dai microfoni durante le riprese. Il mix in post produzione la univa ai dialoghi creando così una profondità di campo sonora. Lavorando sui livelli si può infatti dare l’impressione di vicinanza o di distanza dell’inquadratura rispetto alla fonte del rumore. 

 

 

La colonna sonora de Il padrino

Fortunatamente poi, quello a cui Murch doveva dare corpo era il pensiero musicale espresso nell’immortale colonna sonora di Nino Rota. Prendiamo sempre la scena del matrimonio. Nel libro Nino Rota’s The Godfather Trilogy: a film score guide, Franco Sciannameo descrive come le scelte musicali inquadrino sapientemente l’origine culturale dei personaggi. La mafia possiede infatti una lunga tradizione di canzoni e ballate che sono entrate ne Il padrino per descrivere il senso di appartenenza. Queste melodie italiane e contadine sono però contaminate dal luogo in cui vengono eseguite: gli Stati Uniti.

Per festeggiare Connie si alternano al microfono stili e armonie, proprio come nella frantumata identità dei Corleone. Italia e America. Origini e futuro. Appartenenza sociale e appartenenza criminale. Siamo a Long Island nel 1945 e la folla di invitati sta ballando alla luce del sole in uno sfoggio di opulenza. Tutto è comunicativo. Ogni elemento è un messaggio di potenza dato ai presenti, talvolta anche minaccioso. 

Sciannameo spiega che all’inizio della sequenza si sente una tarantella sostenuta dai presenti con il battito di mano. Una prova di vera appartenenza italiana che si svolge sulla pista da ballo sotto gli occhi dei presenti. Non c’è dubbio su chi siano queste persone e come si identifichino. Segue la Godfather Mazurka, danzata dalla prima generazione di immigrati più anziani. Un viaggio nel passato della tradizione bruscamente rotto dall’arrivo del Fox Trot, un ballo di origine americana. Lo si ascolta prima dalla distanza e gradualmente ci si avvicina.

 

 

C’è in queste note tutta la seconda generazione di italoamericani che sarà poi il cuore de Il padrino. Quel ritmo trascina nel ballo persone diverse, integrate nella nuova terra e meno attaccate alle tradizioni. 

Michael Corleone indossa un’uniforme dell’esercito americano ed è con una ragazza americana, Kay Adams, se non fosse per il suo cognome non lo si riconoscerebbe come Italiano. La scena ha ancora un drastico cambio di tono. Ora tutti si agitano al ritmo di La Luna ammenzu ’o mari, attribuita al marinaio siciliano Paolo Citorello e particolarmente popolare negli States grazie alla versione di Rudy Vallee negli anni ’30 seguita da quella di Dean Martin. Il perfetto compromesso tra lee due tradizioni. 

Le carte musicali si ribaltano ancora quando arriva l’idolo delle folle Johnny Fontane che esegue la canzone preferita di Connie. Ritorna per poco il tema de Il padrino come ascoltato all’inizio inframezzato da un breve frammento de Le nozze di Figaro. Rientra quindi anche l’opera come parte del retaggio italiano in questo complesso momento famigliare. Invece che unire, Nino Rota esalta la complessità dei singoli personaggi che più tardi esploderanno in visioni radicalmente diverse della politica, del mondo, e dell’attività di famiglia. Dal buio studio di Don Corleone tutto invece suona più distante, ovattato, e coerente. 

La musica de Il padrino suona bene come una sceneggiatura ben oliata o un montaggio mozzafiato. Perché con la combinazione delle nuove tecniche di lavorazione sulla traccia sonora e la grande consapevolezza con cui si è strutturata la colonna sonora, ha amplificato la portata internazionale della storia. La grandiosità del dramma, l’ampiezza di una vicenda epica che copre generazioni e gli estremi del mondo, non è solo da vedere. Una parte importante, ancora più sottile e invisibile seppur travolgente, si svolge tutta nelle orecchie.

Tutta questa varietà musicale, dal vecchio al nuovo continente, si riassumerà poi in sole 12 note, le prime del Love Theme immortale de Il padrino.

 

 

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